«Finito il liceo già a Rimini collaboravo con disegnetti alla Domenica del Corriere e ad alcuni giornaletti locali. Ma soprattutto, come tanti, ero affascinato dal Marc'Aurelio che arrivava il mercoledì e il sabato a Rimini. Era un giornale contestatissimo dal prete. Mi ricordo che una volta, durante il sermone domenicale, tirò fuon dal pulpito, come un prestigiatore, un foglio che era poi il Marc’Aurelio e disse con voce grave: “So che si continua a leggere questo giornalaccio. Adesso vi faccio vedere io che che cosa si deve fare”. Ci fu un momento di sospensione perché non si capiva beneche cosa volesse mostrarci. Poi. Don Balosa (in realtà si chiamava Baravelli, ma lo chiamavamo Don Balosa. che in romagnolo vuol dire castagna bollita, per via delle sueguancione color seppia) lo strappò con le sue grandi manone. E, dopo un lungo silenzio,ne fece una gran palla che, cosa insolita per un prete sul pulpito, colpì con un pugno e fece rotolare tra i banchi».
«Io al Marc’Aurelio cominciai a collaborare quando venni a Roma, nel 1938. Fu la prima tappa: segretario di redazione e poi redattore. Era un settimanale molto popolare, anche un po’ fastidioso per il regime fascista. Non una vera e propria fronda, ma una sottile contestazione. Ricordo che ogni settimana il direttore veniva convocato al Minculpop e, quando tornava, ci chiamava tutti a rapporto, leggendoci i commenti raccolti: una cosa era dispiaciuta a Starace, un’altra a Pavolini, un’altra ancora aveva fatto addirittura incazzare il Duce. E noi, lì in piedi, che non si capiva se saremmo stati licenziati o peggio. Ma in quella redazione c’erano anche degli antifascisti, come Tommaso Smith, che sarebbe diventato poi il direttore di Paese Sera; e alcuni redattori che venivano da un altro famoso foglio satirico, il Becco Giallo, come Galantara che fu minacciato di essere mandato al confino. Io, allora, non capivo neanche che si potesse contestare Mussolini. Me lo ritrovavo sui quaderni di scuola dall’età di 10 anni: c’erano le immagini di Gesù, del Papa, del Re e di Mussolini, sembrava un personaggio immortale. Stavo lì attratto soprattutto dai disegnatori: Mosca, il grande Attalo, Merz, Guareschi. Il Marc’Aurelio è stato una scuola, un seminario, una fucina straordinaria anche per il cinema. Ci lavoravano Steno, Scola, Marchesi; moltissimi sceneggiatori e registi»
Questa storia e' quella raccontata
nel film Che strano chiamarsi Federico, documentario in forma di favola diretto da Ettore Scola, un ricordo / ritratto di Fellini, raccontato dal regista Scola in occasione del ventennale della morte sulla loro giovanile vita romana. Unico omaggio che l'Italia ha prodotto finora, in forma artistica. Sceneggiato dallo stesso Ettore Scola con Paola e Silvia Scola racconta bene l'Italietta in forma di commedia, lieve, ma col Minculpop che telefona al direttore della rivista per criticare le vignette: QUI. Questo archivio fu creato come una mappa mentale, navigate tra le parole, come rabdomanti, che trovate alla destra del vostro schermo, mentre infondo alla pagina potete lasciare un messaggio, nello spazio vuoto come un fumetto, o condividere i post che vi sono piaciuti. Grazie.
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