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Fulminava calabroni, e vabbeh

«Ed eccoli al parco del Valentino, Rol e Fellini, in un pomeriggio sonnolento. Contrariamente al solito, Rol è malinconico, parla poco, insegue certi suoi sconosciuti pensieri. Si siedono in silenzio su una panchina. 


Più in là, seduta a un’altra panchina, una nurse dormicchia con dinanzi la carrozzella del bambino. Sopra la carrozzella si mette a girare un grosso 
calabrone.


 “Guarda là” dice Fellini “bisogna andare a cacciare via quella bestiaccia”. 
“No, non occorre” risponde Rol, e tende la mano destra in direzione dell’insetto. Uno schiocco di dita, e il calabrone cade a piombo, fulminato secco. 
“Ah, mi dispiace”, deplora l’uomo misterioso e affascinante. 
“Mi dispiace. Questo non dovevo fartelo vedere!”».




Il resto qui.




(da Buzzati, D., "Fellini per il nuovo film ha fatto incontri paurosi",  Corriere della Sera, 06/08/1965, p. 3. Sarebbe bello trovare queste registrazioni, che tanto sono incuriosita che troverete questo brano in altri punti dell'archivio, mi scuso per le ripetizioni). 
Proteggete la conoscenza. L'archivio che state usando funziona come una mappa mentale, partendo dai vostri interessi o anche a caso, dalla destra del vostro schermo, conoscete voi stessi. Le immagini solitamente non hanno legami coi testi, per scelta. 

Uno strano pellegrinaggio

Roma, agosto 1965






 
Federico Fellini è attualmente in Italia la persona più carica di misteri. Per il suo nuovo film, Giulietta degli spiriti, Fellini ha girato penisola e isole per oltre due mesi visitando i più strani o addirittura inverosimili personaggi, maghi, indovini, streghe, invasati, medium, astrologi, operatori metapsichici, depositari di occulte potestà, ne ha fatto una scorpacciata, ne è rimasto saturo.


Non è che volesse utilizzare questi tipi per il suo film. Giulietta degli spiriti non è un documentario di prodigi tradotti in chiave fantastica. È una favola inventata di sana pianta nella vicenda, nei personaggi e nell'ambiente. Di tutti i maghi interpellati, compare in carne ed ossa soltanto Genius (pronuncia "ginius" all'inglese) lo sconcertante e pittoresco indovino di Roma che per il modo di vestire e di atteggiarsi ricorda il sarto Schubert. Il pellegrinaggio è servito a Fellini soltanto come preparazione psicologica indiretta. Il contatto con quelle creature in certo modo dava impulso alla carica magica che già Fellini aveva dentro di sé, così come in certi scrittori la musica serve a promuovere le idee. E a giudicare dai risultati il sistema è stato ottimo. In Giulietta degli spiriti, che Fellini mi ha fatto vedere, il clima di sortilegio, di inquietudine, di attesa, non viene mai meno, con una varietà abbacinante di motivi e fantasmagorie. Fellini però ne parla con cautela, cercando di minimizzare la sua impresa. Va da sé che il regista ha una grande fiducia in sé, altrimenti non oserebbe mai tentare film come questo. Ma poi, quando ne discorre, entra in gioco il suo istintivo understatement. La classe, anche come uomo, è rivelata subito da questa disarmante quanto spontanea semplicità. Un altro autorevole esempio a conferma che il talento e il darsi importanza non possono andare d'accordo.
Ora, fra tanti personaggi dell'Italia magica - gli chiedo - chi gli ha fatto più impressione? La maggioranza, anche se si trattava di fenomeni notevoli, non aveva niente di eccezionale. I soliti tavolini semoventi, le solite decifrazioni chiromantiche, le solite letture delle carte, le solite interpretazioni degli astri, le solite operazioni taumaturgiche; con risultati spesso curiosi o addirittura impressionanti. Nulla però che si staccasse dal classico repertorio.
Molti di questi maghi, o sedicenti maghi, pareva avessero smarrito ogni personalità, come se fossero posseduti da un potere estraneo a loro; risultavano quindi alquanto stolidi, o assolutamente infantili, o inesistenti come creature umane. Agivano come automi, non tentando neppure una interpretazione di ciò che facevano.
Comunque, Fellini mi cita Pasqualina Pezzolla, di Porto Civitanova, che riesce a "vedere" l'interno del corpo umano quasi i visceri fossero completamente scoperchiati ed esposti alla luce. Ed è quindi in grado di fare delle diagnosi di una precisione tremenda. "Sembra un Macario vestito da donna" racconta Fellini. "È una ex-contadina, priva di studi ma dotata di un notevole orecchio; a espressioni rozze e popolaresche mescola una terminologia medica d'accatto che coi clienti le conferisce un certo tono. Per farsi visitare vengono anche da lontanissimo, intorno alla sua casa c'è sempre una folla che aspetta, bivaccano perfino nella strada per non perdere il turno. Come fa a visitare i malati? Pasqualina siede, fissando il cliente, con respinti sempre più affannosi e contratti. Cade insomma in una specie di lieve trance. La si vede trasformarsi, e dalla sua faccia sembra uscire un altro volto più aguzzo. Intanto tiene una mano a visiera sopra gli occhi, come per ripararsi dalla luce. Poi si alza in piedi. Biascica e parlotta tra sé forse delle formule magiche. Si risiede. Ha due tre violenti scossoni. Sorride. È pronta. Comincia a parlare: vedo lo stomaco un po' spostato in basso, vedo tre calcoli uno grosso e due piccoli nel sacchetto della bile... Tale e quale che se invece degli sguardi avesse i raggi X."



Mi parla a lungo anche di "zio Nardu", un bizzarro vecchio che diventava cavallo. Abitava in una povera bicocca fuori Nuoro. Fellini ci andò accompagnato da un pretino in fama di buon esorcista. Arrivati alla casa di zio Nardu, dovettero aspettare due ore perché lui non voleva aprire. Alla fine si spalancò la porta e zio Nardu apparve, un vecchietto di settant'anni, all'apparenza niente di straordinario. Come vide il prete, si fece il segno della croce. Salutò in tono piuttosto servile. Subito il pretino lo redarguì severamente: "Ti vuoi convertire finalmente? la devi smettere di trasformarti in bestia! Altrimenti finirai all'inferno..." E lui diceva di sì, era pentito, prometteva di non farlo più, lacrime gli colavano dagli occhi. A questo punto intervenne Fellini; il pretino, continuando così, gli avrebbe rovinato tutto quanto. "Sì, zio Nardu, tu devi convertirti" disse il regista. "Sono venuto apposta da Roma per parlare con te. Ma, per dimostrarti la sua benevolenza, la Chiesa ti dà il permesso di diventare bestia ancora una volta." A quelle parole zio Nardu si rianimò, fece una grande risata, poi si mise a parlare velocemente, non si capiva una parola, sembrava recitasse una filastrocca di nomi messi insieme senza nesso


All'improvviso cominciò a nitrire, non a emettere suoni, simili a nitriti, ma a nitrire veramente come un cavallo. Ben presto avvenne una metamorfosi mostruosa. La faccia divenne un muso, il muso si allungò a vista d'occhio assumendo fattezze equine; gli occhi si ingrandirono, divennero interamente neri e lucidissimi, appunto come gli occhi dei cavalli, le orecchie si spostarono in alto, così da sporgere dalla sommità del capo. Perfino il corpo, sembrò a Fellini, acquistava un certo che di cavallino. Allora, sempre cacciando altissimi nitriti di gioia, l'uomo-cavallo cominciò a scalciare furiosamente. E il pretino a recitare le formule sacre dell'esorcismo. Fino a che l'altro si quietò e nel giro di pochi secondi riacquistò sembianze umane.
Al termine dell'inusitata scena, Fellini si trattenne a discorrere con zio Nardu. "Spiegami un po'" gli chiese: "perché ti piace fare il cavallo?". "Ma il cavallo è il più buono, è il più onesto degli uomini" rispose il vecchio con entusiasmo. "Non c'è niente di più bello di un cavallo. Sì, sì, io sono un cavallo." Zio Nardu è morto recentemente, del tutto felice perché nella suprema agonia aveva avuto una delle sue crisi, tramutandosi in destriero. E i suoi ultimi rantoli furono nitriti. Un matto, insomma, ma fuori della norma dei matti. Del resto, mi ha fatto notare Fellini, la pazzia in certi casi è "materializzante" cioè l'uomo finisce per assomigliare alla persona o alla cosa in cui si illude di essere trasformato. Così c'è il pazzo che può assomigliare a Napoleone, il pazzo che assume le forme di un uccello e così via.

"Ma il personaggio di gran lunga più interessante" racconta Fellini "che sta a sé, completamente fuori di questa galleria di fenomeni più o meno patologici, il personaggio portentoso è il dottor Gustavo Rol, di Torino. Anche lei certo ne ha già sentito parlare. Non si tratta di un "mago" più dotato degli altri. È un signore civilissimo, colto, spiritualmente raffinato, che ha fatto l'università, dipinge, si è dedicato per anni all'antiquariato. Ma dispone di tali poteri che non si capisce come non sia famoso in tutto il mondo. Chissà, forse non è ancora venuto il suo momento."Quello che Rol sa fare è pauroso. Chi assiste prova la sensazione di un uomo che sprofonda in un abisso marino senza scafandro. È la testimonianza fascinosa e provocatoria di una trascendenza. Se non si resta terrorizzati è soltanto per il suo modo gioviale e scherzoso un po' da Fra Ginepro, per l'atmosfera salutare che si sprigiona da lui. Del resto egli stesso, prima degli sperimenti, cerca, con opportuni avvertimenti, di creare un limite alla meraviglia, altrimenti si potrebbe rimanerne schiantati."



Del prodigioso mondo in cui vive Gustavo Rol, Fellini mi ha parlato a lungo, senza un dubbio, senza una riserva. Ecco quattro episodi esemplari. Erano seduti, Fellini e Rol, in una sala dell'albergo Principe di Piemonte, a Torino. Accanto a loro un tavolino con sopra un grosso calamaio d'argento. "Adesso provo un esperimento" disse Rol. "Guarda però che non mi riesce sempre. Vedi quel calamaio? Ti prego tienilo d'occhio." Fellini fissò il calamaio. Subito ebbe la sensazione che "qualcosa succedesse dentro di lui, qualcosa di obliquo, come un malessere lucido". 
A un tratto, mentre continuava a fissare il calamaio gli "viene a fuoco" il piano del tavolino, con eccezionale evidenza, ma senza più il calamaio. Sotto i suoi occhi il calamaio era sparito. E Rol non si era mosso dalla poltrona, non aveva mosso le mani.

" Il calamaio era sparito" spiega Fellini. "Si trattava però come di un'eco. L'operazione, come dire?, era avvenuta su di un altro piano, io ne percepivo soltanto una rifrazione." Rol era sudatissimo, quasi uscisse da un lungo e spossante sforzo. Ma scherzava: "Adesso mi arresteranno come ladro. Adesso come facciamo? Riuscirò a far tornare il calamaio? Quel signore laggiù ci sta guardando. Lo conosci tu quel signore laggiù in fondo?". Fellini si voltò a guardare. Non c'era nessun signore. Riportò gli sguardi al tavolino. Il calamaio era tornato."Come può fare cose simili? Da quello che ho vagamente intuito, Rol deve compiere una serie di operazioni mentali in cui crea un certo ordine che si traduce in realtà fisica. Chissà, si direbbe che conosca la famosa legge di Einstein per cui la materia può trasformarsi in energia e viceversa; solo che lui la realizza sul piano mentale." Un altro prodigio avvenne in un ristorante, pure a Torino. Avevano finito di pranzare, era già stato pagato il conto. "Andiamo?" propose Fellini. "Andiamo pure" rispose Rol. Fellini fece per avviarsi all'uscita ma si accorse che Rol stava seduto. "Non ti alzi?" gli chiese. "Ma io sono già alzato" fece Rol. "Io sono in piedi." Fellini guardò meglio: Rol era alzato, infatti, ma aveva la statura di un nano. Il dottor Gustavo Rol, che sfiora il metro e ottanta, non era più alto di un bambino di dieci anni. Qualcosa di folle, di allucinante: come Alice nel paese delle meraviglie. "Su, andiamo, andiamo" fece Rol a Fellini annichilito. Ma a Fellini mancò di nuovo il fiato; senza che egli avesse potuto percepire il mutamento, Rol di colpo si era trasformato in un gigante, stava accanto a lui come un cipresso, lo sovrastava di almeno una spanna. Ed eccoli al parco del Valentino, Rol e Fellini, in un pomeriggio sonnolento. Contrariamente al solito, Rol è malinconico, parla poco, insegue certi suoi sconosciuti pensieri. Si siedono in silenzio su una panchina. Più in là, seduta a un'altra panchina, una nurse dormicchia con dinanzi la carrozzella del bambino. Sopra la carrozzella si mette a girare un grosso calabrone. "Guarda là" dice Fellini "bisogna andare a cacciare via quella bestiaccia" "No, non occorre" risponde Rol, e tende la mano destra in direzione dell'insetto. Uno schiocco di dita, e il calabrone cade a piombo, fulminato secco. "Ah, mi dispiace" deplora l'uomo misterioso e affascinante. "Mi dispiace. Questo non dovevo fartelo vedere!"




Quarto caso. Per avere disobbedito, Fellini stette male, per due giorni non riuscì né a mangiare né a dormire. "Mi fa scegliere una carta da un mazzo. Era, mi ricordo, il sei di fiori. Prendila in mano, mi dice, tienila stretta sul tuo petto e non guardarla; ora, in che carta vuoi che la trasformi? Io scelgo a caso. Nel dieci di cuori, gli dico. Mi raccomando, ripete lui, tienila bene stretta e non guardarla. Lo vedo concentrarsi, fissare con intensità spasmodica la mia mano che tiene la carta. Intanto io penso: perché mai non devo guardare? Sì, me lo ha proibito, ma il tono non era troppo severo. Che me lo abbia detto apposta per indurmi a trasgredire? Insomma, non resisto alla tentazione. Stacco un po' la carta dal petto e guardo. E allora ho visto... ho visto una cosa orrenda che le parole non possono dire... la materia che si disgregava, una poltiglia grigiastra e acquosa che si decomponeva palpitando, un amalgama ributtante in cui i segni neri dei fiori si disfacevano e venivano delle venature rosse... A questo punto ho sentito una mano che mi prendeva lo stomaco e me lo rovesciava come un guanto. Una inesprimibile nausea... E poi mi sono trovato nella mano il dieci di cuori."

Per ultimo ho chiesto a Fellini: "Di tutte queste esperienze, di tutte queste stregonerie, c'è stata qualche ripercussione nella realizzazione del film?"

"È difficile rispondere" dice Fellini. "Certo, mi sono trovato di fronte a una quantità di imprevedibili e strane opposizioni, quasi che una forza oscura mi volesse scoraggiare. Cose vaghe, però, forse soltanto mie assurde sensazioni... E poi, a motivo di questo film, alcune amicizie si sono guastate, perdute, distrutte. Si intende, amicizie apparenti, di superficie... Contro la vera amicizia non credo che la magia possa fare molto."



I misteri d'Italia, Oscar Mondadori, 1978, Milanodi Dino Buzzatti, amico, scrittore, fu lui a fargli conoscere il medium Gustavo Rol, personaggio mitologico, torinese, alto borghese,  schivo eppur noto, tanto da essere perfino convocato durante il sequestro Moro, personaggio nella storia d'Italia.

QUALCHE DETTAGLIO PRATICO:   
Su Twitter, Pinterest e Facebook sono aperte delle finestre, anche in inglese anche,  di questo progetto, per proteggere la conoscenza, le fonti, le idee, e fare diplomazia culturale: cercatele, se vi serve, se usate questo lavoro citatelo. 

Qui un marcetta "di Carlotta", composta pare, dal vero Maestro Rota.


Le forze terribili ci abitano




“Ciò che fa Gustavo Rol è talmente 
meraviglioso che diventa normale; insomma, c’è un limite allo stupore. Infatti le cose che  fa, lui li chiama giochi, nel momento in cui le vedi per  tua fortuna non ti stupiscono, ma nel ricordo assumono una dimensione sconvolgente. Com’è Rol? A chi assomiglia? Che aspetto ha? 
È un po’ arduo descriverlo. Ho visto un signore dai modi cortesi, l’eleganza sobria, potrebbe essere un preside di ginnasio di provincia, di quelli che qualche volta sanno anche scherzare con gli allievi, e fingono piacevolmente di interessarsi ad argomenti quasi frivoli. Ha un comportamento garbato, impostato ad una civile discrezione, contraddetta talvolta da allegrezze più abbandonate, e allora parla con una forte venatura dialettale che esagera volutamente, come “Macario”, e racconta volentieri barzellette. 
Credo che la ragione di questo comportamento sia nella sua costante e previdente preoccupazione di sdrammatizzare le attese, i timori, lo sgomento che si possono provare davanti ai suoi traumatizzanti prodigi di mago


Ma, nonostante tutta questa atmosfera di familiarità, di scherzo tra amici, nonostante questo suo sminuire, ignorare, buttarla sul ridere per far dimenticare e dimenticare lui per primo tutto ciò che sta accadendo, i suoi occhi, gli occhi di Rol non si possono guardare a lungo. Son occhi fermi e luminosi, gli occhi di una creatura che viene da un altro pianeta,gli occhi di un personaggio di un bel film di fantascienza. Quando si fanno “giochi” come i suoi, la tentazione dell’orgoglio, di una certa misteriosa onnipotenza, deve essere fortissima. Eppure Rol sa respingerla, si ridimensiona quotidianamente in una misura umana accettabile.  Forse perché ha fede e crede in Dio.  I suoi tentativi spesso disperati di stabilire un rapporto individuale  con le forze terribili che lo abitano, di cercare di definire una qualche costruzione concettuale, ideologica, religiosa, che gli consenta di addomesticare in un parziale, tollerabile armistizio la tempestosa notte magnetica che lo invade, scontornando e cancellando le delimitazioni della sua personalità, hanno qualcosa di patetico ed eroico”.


Qui il "suo" (cosiddetto) testamento audio, conservato dal fratello: qui invece qualche notizia sulla sua vita per chi proprio non ne avesse mai sentito parlare. Su questo argomento troverete qualche altro brano e video, cercando il nome di Rol, magia, Torino, qualche volta anche calabrone, e lascio che lo scopriate da voi. 


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