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Attenti camerati, il nemico e' in un bicchiere di vino ...


Camerati, hanno detto pane e lavoro; ma non è meglio pane e un bicchiere di vino? 


(dal film Amarcord, sui cui temi, infanzia, fascismo, poesia, Italia, carattere, trovate moltissime tag ed altre letture)



 “Rimini e' un pastrocchio, confuso, pauroso, tenero” dove “la nostalgia si fa più limpida” (Fellini, 1974).
 Il film,  vuole essere “commiato definitivo” (ibidem) dal “fatiscente e sempre contagioso teatrino riminese” (ibidem) un addio a “quell'inguaribile adolescenza che rischia di possederci per sempre” [...]  
Come ha scritto Tullio Kezich, è interessante che una denuncia così spietata nei confronti del fascismo, pur con un umorismo leggero, venga da un autore che si dichiarava “impolitico” (Kezich, 2002) [...] 



Fellini osservava che il fascismo e l'adolescenza erano (sono?) in un certo senso “stagioni permanenti” del carattere italiano, sempre bambino con “l'eterna premessa” del regime [...]  “Questa Rimini della mia infanzia ha qualcosa di vagamente repellente (…) un'aria lievemente fetida, un calore esilarante impercettibilmente manicomiale” 


(Fellini, 1974). 



Questi brani sono stati tratti da un numero monografico 

dedicato a Fellini, di Quaderni d'altri tempi, con tre
 interventi originali, che trovate qui per intero. Sono interessanti. 
Immagini dal set e dalle scene di AMARCORD

 



Sogni ridicoli


Puo' darsi che molti oggi non ricordino la politica. Cosa poteva significare negli anni Trenta, Cinquanta, Settanta, per chi aveva visto la guerra, il fascismo, la sua caduta, la nascita della democrazia. Puo' darsi, che oggi non ci sia un grammo di politica nei nostri discorsi. Per Fellini, per un fatto anche puramente biografico, era diverso. 

Via via lo racconteremo, anche cosa accadde quando tradi' la causa del neorealismo, si fece odiare dai comunisti, ma mica solo. Comunque, questo discorso sul fascismo, lo capirebbe meglio uno psicoanalista. Perche' e' un fatto interiore, una visione dell'uomita', dell'essere, della vita emotiva. Ma questo lui lo dice molto meglio. Ci torno sopra visto che non siamo che all'inizio di una fase evolutiva nuova, ed il passato ci assedia e ci trattiene. 




"Non voglio dire che noi italiani non siamo andati al di là dell'adolescenza e del fascismo. Sarebbe una affermazione eccessiva - ed ingiusta. Le cose sono certo molto cambiate da allora, é naturale. Eppure se ti tiri fuori dal giro di centomila persone che più o meno si conoscono tutte l'una con l'altra, e prendi un treno -  che non prendiamo più -  e sali in una carrozza di seconda classe e ascolti i suoni che si scambia la gente e questi suoni riesci a riferirli a malapena ad un concetto, l'impressione é sempre di non sapere se stai tra contemporanei oppure sei un marziano, se sei impazzito (ma forse anche questi nostri discorsi sembreranno privi di senso a quei viaggiatori di seconda classe ...)". 

Insomma in generale il sentimento che prova uno che attraversa l'Italia, a quel modo, é che l'Italia mentalmente sia sempre un po' la stessa. 

Per dirla in altro termini, ho l'impressione che fascismo ed adolescenza  continuino ad essere in una certa misura le stagioni storiche permanenti della nostra vita. L'adolescenza, della nostra vita individuale: il fascismo, in quella nazionale.


Questo restare cioè eternamente bambini, scaricare le responsabilità sugli altri, vivere con la confortante sensazione che c'è qualcuno che pensa per te, e una volta può essere la mamma, una volta il papà, una volta il sindaco, una volta il duce, una volta la Madonna, una volta il vescovo, insomma gli altri ...




Ed intanto tu hai questa limitata libertà giocherellona che ti consente di coltivare sogni ridicoli: il sogno del cinema americano, o il sogno orientalizzante della donna, in definitiva miti mostruosamente inattuali che a tutt'oggi mi sembrano il condizionamento più grave dell'italiano medio. 
E mi sembra che, ancor prima del fascismo, la colpa di questo cronico mancato sviluppo, di questo arresto ad uno stadio bambinesco, sia nella chiesa cattolica. Vivendo sotto questa specie di campana, ciascuno sviluppa non caratteristiche individuali, ma solo anomalie patologiche".




Riva Valerio: "Intervista a Fellini", da L’Espresso, 26 maggio 1976. Foto dal film AMARCORD, la scena in cui i fascisti sparano al campanile, da cui viene la musica. Questo archivio digitale funziona come una mappa mentale, navigate nelle parole alla destra dello schermo. Su questo tema, che da apolitico quale veniva tacciato, tornava spesso trovate molte tag. Condividete questo post coi pulsanti predisposti in fondo a questa paginetta, se lascerete un segno del vostro passaggio nei commenti, arricchirete questo lavoro e proteggete la conoscenza. 





La democrazia si respira



"Riconosco che il mio può essere un atteggiamento nevrotico, di rifiuto a crescere, determinato, forse in parte, dall'essere stato educato durante il fascismo, e quindi diseducato a ogni partecipazione in prima persona alla politica che non fossero esteriori dimostrazioni e cortei; e di aver conservato, nel tempo, la convinzione che la politica è una cosa dei grandi, fatta da signori pensosi (...) Ecco, forse il limite nel quale sono costretto tutt'oggi è quello di non aver mai respirato, nell'età della formazione, il vero significato della democrazia"





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Il sogno interrotto


L'EUR e' un quartiere che non c'e'. 

Ha il fascino di uno speciale folle sogno, 
interrotto.

Mi affascina questo senso di provvisorietà,

che ha l'EUR, sembra di abitare dentro
 la fiera campionaria di Milano, con la 
sensazione che la mattina ti puoi svegliare e 
hanno sbaraccato tutto ...



Del senso di provvisorieta', cronica, che dava anche il cinema e del conforto che Fellini ci provava a star dentro, disse molte volte. Si vede anche nel suo alter ego, Marcello Mastroianni, come vaga nella vita, senza prendere mai la scena, da protagonista, quasi un leggero Amleto silenzioso. Per commentare o lasciare un messaggio infondo al post trovate i pulsanti e lo spazio. Grazie. 



La maniera fascista


A proposito di Amarcord, da alcuni attaccato per "fascismo di cartapesta" dagli stessi intellettuali iper politicizzati che sempre avevano attaccato la naivite del regista, Fellini diceva: "siccome si tratta di un borgo, della metafora di una chiusura, di una mancanza di rapporti con l'esterno, in questo senso il film riflette con maggiore evidenza, esprime con piu' forze che cos'era il fascismo, la maniera di essere fascisti, quella psicologica, emotiva: e cioè essere ignoranti, prepotenti, esibizionisti, puerili". 




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Vendette e bistecche

F. FELLINI e S. SPIELBERG – 
Roma 1971


"Avevo sempre ritenuto che i famigerati articoli anonimi apparsi nel '60 all'uscita di La dolce vita Osservatore Romano" (a cominciare da quello intitolato "Basta!") fossero opera del direttore Raimondo Manzini, ma una nota del Dizionario dei film di Paolo Mereghetti ("pare siano stati scritti da Oscar Luigi Scalfaro") mi mise una pulce nell'orecchio. Detto fatto telefonai all'ufficio stampa del Quirinale per porre il problema e un gentile funzionario mi assicurò che avrebbe chiesto lumi in proposito al presidente, "forse non oggi, ma domani senz'altro..." Sono passati tre anni e non ho più avuto notizie. 
Ho letto invece il libro Scalfaro, una vita da Oscar di Caldonazzo e Fiorelli (160 pagine, 27.000 lire, Ferruccio Arnoldi Editore), che pur non dicendo niente sul fatto specifico rievoca la stagione meno felice del politico novarese: quella in cui, nel quadro del governo Scelba tra il e il fu sottosegretario allo spettacolo. 
Quando Guareschi, sottolineando che il nostro non andava mai né al cinema né a teatro, giustamente scrisse: "Sarebbe come affidare a un vegetariano il compito di giudicare le bistecche". Pur considerando il teatro di prosa come "un genere archeologico, da museo", Scalfaro si sbizzarrì a proibire e tagliuzzare l'intera drammaturgia planetaria da Sartre a Carlo Maria Pensa. 




E per quanto riguarda il cinema censurò L'arte di arrangiarsi con Alberto Sordi, tentò di non mandare a Cannes L'oro di Napoli, si accanì contro un film innocentissimo come Le avventure di Casanova di Steno infliggendo 22 tagli alla sceneggiatura e 28 alla pellicola. Era ancora fresco allora il ricordo dell'intemerata che il giovane deputato aveva fatto in una trattoria di via della Vite a una signora secondo lui troppo scollata: un grottesco episodio che, per tornare .....episodio che, per tornare a Fellini, si ritrova in forma di comica del muto in Le tentazioni del dottor Antonio, dove Peppino De Filippo è perseguitato dalla traboccante gigantessa Anitona Ekberg scesa giù da un manifesto pubblicitario. Si potrebbe sospettare che da parte di Federico quella sia stata una piccola vendetta per gli attacchi dell'"Osservatore", dato e non concesso (io aspetto sempre la telefonata dal Quirinale...) che li abbia scritti Scalfaro. 
Non c'è comunque da stupirsi che il presidente, quando il riminese era ancora in circolazione, abbia fatto orecchie da mercante alla reiterata proposta di Enzo Biagi e altri di nominare Fellini senatore a vita.  




6 giugno 1996, brano tratto da FELLINI DEL GIORNO DOPO, di Tullio Kezich, Guaraldi editore.  Nell'immagine la tribu' degli indiani a cavallo a Roma, scena del film L'Intervista, come un tributo al cinema western ed insieme un prodigio, una invocazione anche. Lo stranissimo incontro tra il giovane regista di Duel, in vacanza a Roma, e il gigantesco Fellini in una fotina a suo modo storica: trovate una storia del loro incontro cercandola tra le tag. Ed un bellissimo disegno di Fellini del grandissimo Toto'. Questo archivio funziona come una mappa mentale, lasciate un messaggio. 






Con quel foglio colorato


«Il mio amore per il fumetto si perde nella notte dei tempi È stato il primo contatto con un mondo immaginato che si esprimeva con le matite, con le penne, con i colori, qualche cosa che non aveva a che fare con la scuola, con la chiesa, con la famiglia. Mi ricordo che una data festosa della settimana era proprio la domenica, quando papà, tornando dalla stazione dove c’era l’edicola più fornita di Rimini, ci portava il Corriere dei Piccoli. Anche i personaggi di quel foglio colorato non avevano niente a che fare con il mondo che ci circondava: con la cameriera che stava in casa, col nonno malato, col vicino. Però erano altrettanto veri del bidello o dell’arciprete. Tanto che, alle persone reali poi, affibbiavamo proprio i soprannomi di quei personaggi. Cosi l’arciprete diventava Padron Ciccio, quello che aveva una mula cattivissima, la Checca, che stampava i ferri da cavallo nel sedere di chi scalciava. Oppure il vicino di casa, che mia mamma sapendolo un po’ scapestrato, tiratardi e qualche volta un po’ alticcio, aveva chiamato Arcibaldo, come il personaggio creato da Geo McManus. Lui si arrabbiava molto e noi ragazzini gli correvamo appresso per sfotterlo gridandogli «Arcibaldo, Arcibaldo!»




Brano da un’intervista di Renato Pallavicini a Federico Fellini uscita su l’Unità, il 26 luglio 1992, l'illustrazione e' di Eva Montanari. L'altra immagine e' tratta dal Grand Hotel, di Amarcord. 
Questo archivio funziona come una mappa mentale, cercate da soli, nelle tag alla vostra destra, che nascono come un percorso semantico e psicologico. Le immagini che vedete sono spesso della curatrice, i link sono esterni. Se trovate cose imprecise o che non funzionano scrivete. 

Il borgo va a Los Angeles


« Mi sembra che i personaggi di Amarcord, i personaggi di questo piccolo borgo, proprio perché sono così, limitati a quel borgo, e quel borgo è un borgo che io ho conosciuto molto bene, e quei personaggi, inventati o conosciuti, in ogni caso li ho conosciuti o inventati molto bene, diventano improvvisamente non più tuoi, ma anche degli altri ».





(Fellini a proposito del successo di Amarcord, giunto abbastanza inaspettato, considerato il tema, e le critiche ricevute nel tempo per il suo essere impolitico, a-politico, dal sistema culturale. 


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L'aiuto dello scherzo


Il fumetto ha rappresentato nella psicologia e nell’immaginazione di intere generazioni il contatto con la fantasia, il sorriso, l’allegria. Ma anche un aiuto, un conforto a quel tanto di obbligato che rendeva la vita di noi ragazzetti, piuttosto pesante, mal digeribile: la scuola, la palestra, le processioni, la messa alla domenica. Quindi una funzione straordinaria non solo per la formazione della fantasia, ma anche un aiuto psicologico come potevano darlo la letteratura, la poesia o l’arte. Il fumetto, tradotto nella dimensione dell’infanzia ha avuto il merito, dunque, di irrobustire l’immaginazione e di favorire un dicorso critico verso gli adulti con l’aiuto dello scherzo e dell’ironia






QUALCHE DETTAGLIO PRATICO PER ANDARE AVANTI:   
Vedrete che ho trascurato quasi interamente pettegolezzi, e letture agiografiche e tutta quella narrativa marketing o delle fazioni della battaglia politica, a meno che non potesse essere utile a fare un ritratto dell'epoca, inoltre ho dato molto spazio alle cose minori, silenziose, come ad esempio Nino Rota, senza la cui presenza l'arte di Fellini non sarebbe universalmente nota e riconoscibile, per il suo suono,  come e'. 
Dove ho potuto ho citato la fonte. Le immagini non sono mai o quasi mai legate ai testi, per motivi di stile e per le stesse ragioni invece quando uscite dal sito dovete ritornarvi da voi. Qualche volta i brani sono in in lingua originale, soprattuto documenti e recensioni, e lo indico sempre. Le pochissime cose oltre a questa che ho scritto io medesima, e non sono pensieri di Fellini, o di interesse sulla sua storia nella storia culturale del paese o sulla sua poetica, di solito di altri artisti o suo cari amici, viene indicato anche nelle tag, come "la nana di fellini". 
Su Twitter, Pinterest e Facebook nel tempo, per motivi diversi, ho creato delle piccole vetrine, in inglese anche,  di questo progetto, che spero possa scuotere soprattutto il mondo della cultura e delle arti, e ispirarci. Siate gentili. 


Qui un marcetta "di Carlotta", composta pare, dal vero Maestro Rota.




Se Minculpop telefonava




«Finito il liceo già a Rimini collaboravo con  disegnetti alla Domenica del Corriere e ad alcuni giornaletti locali. Ma soprattutto, come tanti, ero affascinato dal Marc'Aurelio che arrivava il mercoledì e il sabato a Rimini. Era un giornale contestatissimo dal prete. Mi ricordo che una volta, durante il sermone domenicale, tirò fuon dal pulpito, come un prestigiatore, un foglio che era poi il Marc’Aurelio e disse con voce grave: “So che si continua a leggere questo giornalaccio. Adesso vi faccio vedere io che che cosa si deve fare”. Ci fu un momento di sospensione perché non si capiva beneche cosa volesse mostrarci. Poi. Don Balosa (in realtà si chiamava Baravelli, ma lo chiamavamo Don Balosa. che in romagnolo vuol dire castagna bollita, per via delle sueguancione color seppia) lo strappò con le sue grandi manone. E, dopo un lungo silenzio,ne fece una gran palla che, cosa insolita per un prete sul pulpito, colpì con un pugno e fece rotolare tra i banchi».
«Io al Marc’Aurelio cominciai a collaborare quando venni a Roma, nel 1938. Fu la prima tappa: segretario di redazione e poi redattore. Era un settimanale molto popolare, anche un po’ fastidioso per il regime fascista. Non una vera e propria fronda, ma una sottile contestazione. Ricordo che ogni settimana il direttore veniva convocato al Minculpop e, quando tornava, ci chiamava tutti a rapporto, leggendoci i commenti raccolti: una cosa era dispiaciuta a Starace, un’altra a Pavolini, un’altra ancora aveva fatto addirittura incazzare il Duce. E noi, lì in piedi, che non si capiva se saremmo stati licenziati o peggio. Ma in quella redazione c’erano anche degli antifascisti, come Tommaso Smith, che sarebbe diventato poi il direttore di Paese Sera; e alcuni redattori che venivano da un altro famoso foglio satirico, il Becco Giallo, come Galantara che fu minacciato di essere mandato al confino. Io, allora, non capivo neanche che si potesse contestare Mussolini. Me lo ritrovavo sui quaderni di scuola dall’età di 10 anni: c’erano le immagini di Gesù, del Papa, del Re e di Mussolini, sembrava un personaggio immortale. Stavo lì attratto soprattutto dai disegnatori: Mosca, il grande Attalo, Merz, Guareschi. Il Marc’Aurelio è stato una scuola, un seminario, una fucina straordinaria anche per il cinema. Ci lavoravano Steno, Scola, Marchesi; moltissimi sceneggiatori e registi»







Questa storia e' quella raccontata 

nel film Che strano chiamarsi Federico, documentario in forma di favola diretto da Ettore Scola, un ricordo / ritratto di Fellini, raccontato dal regista Scola in occasione del ventennale della morte sulla loro giovanile vita romana. Unico omaggio che l'Italia ha prodotto finora, in forma artistica. Sceneggiato dallo stesso Ettore Scola con Paola e Silvia Scola racconta bene l'Italietta in forma di commedia, lieve, ma col Minculpop che telefona al direttore della rivista per criticare le vignette: QUI. Questo archivio fu creato come una mappa mentale, navigate tra le parole, come rabdomanti, che trovate alla destra del vostro schermo, mentre infondo alla pagina potete lasciare un messaggio, nello spazio vuoto come un fumetto, o condividere i post che vi sono piaciuti. Grazie.