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La mediazione


Vedi, Angelo, questa Chiesa la possiamo e la dobbiamo criticare, per liberare delle tante possibili oppressioni, ma credo che dobbiamo essere anche molto onesti. L'uomo ha bisogno di una mediazione tra lui e il maestro. In questa ottica la Chiesa costituisce una grande e fortunata presenza. Capisci?. Una presenza che non si può eludere, la mediazione tra l'uomo ed il mistero. Il dramma e' quando la mediazione si fa mistero essa stessa. Allora si moltiplicano non solo le confusioni, ma anche le repulsioni .... 



Angelo Arpa

L'arpa di Fellini
edizioni Oleandro
pagina 136

NdR

Quel Vedi iniziale
non sa tanto di letterale 

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Il megalomane Michelangelo


Non c'era Papa 

abbastanza grande 
per Michelangelo, 
non c'e' produttore 
abbastanza grande per Fellini, 
disse di lui Rossellini. Che forse lo odiava. 







Proteggete la conoscenza, condividete questo post, c'e' anche uno spazio vuoto per i pensieri o i sentimenti,  se quello che leggete vi riguarda, almeno, contribuirete al lavoro. Le immagini ed i testi per ragioni di stile non sono legate in questo archivio, che funziona invece come una mappa mentale, conoscete voi stessiFoto bellissima, omaggio a Morandi, dentro La Dolce Vita. 


Uno strano pellegrinaggio

Roma, agosto 1965






 
Federico Fellini è attualmente in Italia la persona più carica di misteri. Per il suo nuovo film, Giulietta degli spiriti, Fellini ha girato penisola e isole per oltre due mesi visitando i più strani o addirittura inverosimili personaggi, maghi, indovini, streghe, invasati, medium, astrologi, operatori metapsichici, depositari di occulte potestà, ne ha fatto una scorpacciata, ne è rimasto saturo.


Non è che volesse utilizzare questi tipi per il suo film. Giulietta degli spiriti non è un documentario di prodigi tradotti in chiave fantastica. È una favola inventata di sana pianta nella vicenda, nei personaggi e nell'ambiente. Di tutti i maghi interpellati, compare in carne ed ossa soltanto Genius (pronuncia "ginius" all'inglese) lo sconcertante e pittoresco indovino di Roma che per il modo di vestire e di atteggiarsi ricorda il sarto Schubert. Il pellegrinaggio è servito a Fellini soltanto come preparazione psicologica indiretta. Il contatto con quelle creature in certo modo dava impulso alla carica magica che già Fellini aveva dentro di sé, così come in certi scrittori la musica serve a promuovere le idee. E a giudicare dai risultati il sistema è stato ottimo. In Giulietta degli spiriti, che Fellini mi ha fatto vedere, il clima di sortilegio, di inquietudine, di attesa, non viene mai meno, con una varietà abbacinante di motivi e fantasmagorie. Fellini però ne parla con cautela, cercando di minimizzare la sua impresa. Va da sé che il regista ha una grande fiducia in sé, altrimenti non oserebbe mai tentare film come questo. Ma poi, quando ne discorre, entra in gioco il suo istintivo understatement. La classe, anche come uomo, è rivelata subito da questa disarmante quanto spontanea semplicità. Un altro autorevole esempio a conferma che il talento e il darsi importanza non possono andare d'accordo.
Ora, fra tanti personaggi dell'Italia magica - gli chiedo - chi gli ha fatto più impressione? La maggioranza, anche se si trattava di fenomeni notevoli, non aveva niente di eccezionale. I soliti tavolini semoventi, le solite decifrazioni chiromantiche, le solite letture delle carte, le solite interpretazioni degli astri, le solite operazioni taumaturgiche; con risultati spesso curiosi o addirittura impressionanti. Nulla però che si staccasse dal classico repertorio.
Molti di questi maghi, o sedicenti maghi, pareva avessero smarrito ogni personalità, come se fossero posseduti da un potere estraneo a loro; risultavano quindi alquanto stolidi, o assolutamente infantili, o inesistenti come creature umane. Agivano come automi, non tentando neppure una interpretazione di ciò che facevano.
Comunque, Fellini mi cita Pasqualina Pezzolla, di Porto Civitanova, che riesce a "vedere" l'interno del corpo umano quasi i visceri fossero completamente scoperchiati ed esposti alla luce. Ed è quindi in grado di fare delle diagnosi di una precisione tremenda. "Sembra un Macario vestito da donna" racconta Fellini. "È una ex-contadina, priva di studi ma dotata di un notevole orecchio; a espressioni rozze e popolaresche mescola una terminologia medica d'accatto che coi clienti le conferisce un certo tono. Per farsi visitare vengono anche da lontanissimo, intorno alla sua casa c'è sempre una folla che aspetta, bivaccano perfino nella strada per non perdere il turno. Come fa a visitare i malati? Pasqualina siede, fissando il cliente, con respinti sempre più affannosi e contratti. Cade insomma in una specie di lieve trance. La si vede trasformarsi, e dalla sua faccia sembra uscire un altro volto più aguzzo. Intanto tiene una mano a visiera sopra gli occhi, come per ripararsi dalla luce. Poi si alza in piedi. Biascica e parlotta tra sé forse delle formule magiche. Si risiede. Ha due tre violenti scossoni. Sorride. È pronta. Comincia a parlare: vedo lo stomaco un po' spostato in basso, vedo tre calcoli uno grosso e due piccoli nel sacchetto della bile... Tale e quale che se invece degli sguardi avesse i raggi X."



Mi parla a lungo anche di "zio Nardu", un bizzarro vecchio che diventava cavallo. Abitava in una povera bicocca fuori Nuoro. Fellini ci andò accompagnato da un pretino in fama di buon esorcista. Arrivati alla casa di zio Nardu, dovettero aspettare due ore perché lui non voleva aprire. Alla fine si spalancò la porta e zio Nardu apparve, un vecchietto di settant'anni, all'apparenza niente di straordinario. Come vide il prete, si fece il segno della croce. Salutò in tono piuttosto servile. Subito il pretino lo redarguì severamente: "Ti vuoi convertire finalmente? la devi smettere di trasformarti in bestia! Altrimenti finirai all'inferno..." E lui diceva di sì, era pentito, prometteva di non farlo più, lacrime gli colavano dagli occhi. A questo punto intervenne Fellini; il pretino, continuando così, gli avrebbe rovinato tutto quanto. "Sì, zio Nardu, tu devi convertirti" disse il regista. "Sono venuto apposta da Roma per parlare con te. Ma, per dimostrarti la sua benevolenza, la Chiesa ti dà il permesso di diventare bestia ancora una volta." A quelle parole zio Nardu si rianimò, fece una grande risata, poi si mise a parlare velocemente, non si capiva una parola, sembrava recitasse una filastrocca di nomi messi insieme senza nesso


All'improvviso cominciò a nitrire, non a emettere suoni, simili a nitriti, ma a nitrire veramente come un cavallo. Ben presto avvenne una metamorfosi mostruosa. La faccia divenne un muso, il muso si allungò a vista d'occhio assumendo fattezze equine; gli occhi si ingrandirono, divennero interamente neri e lucidissimi, appunto come gli occhi dei cavalli, le orecchie si spostarono in alto, così da sporgere dalla sommità del capo. Perfino il corpo, sembrò a Fellini, acquistava un certo che di cavallino. Allora, sempre cacciando altissimi nitriti di gioia, l'uomo-cavallo cominciò a scalciare furiosamente. E il pretino a recitare le formule sacre dell'esorcismo. Fino a che l'altro si quietò e nel giro di pochi secondi riacquistò sembianze umane.
Al termine dell'inusitata scena, Fellini si trattenne a discorrere con zio Nardu. "Spiegami un po'" gli chiese: "perché ti piace fare il cavallo?". "Ma il cavallo è il più buono, è il più onesto degli uomini" rispose il vecchio con entusiasmo. "Non c'è niente di più bello di un cavallo. Sì, sì, io sono un cavallo." Zio Nardu è morto recentemente, del tutto felice perché nella suprema agonia aveva avuto una delle sue crisi, tramutandosi in destriero. E i suoi ultimi rantoli furono nitriti. Un matto, insomma, ma fuori della norma dei matti. Del resto, mi ha fatto notare Fellini, la pazzia in certi casi è "materializzante" cioè l'uomo finisce per assomigliare alla persona o alla cosa in cui si illude di essere trasformato. Così c'è il pazzo che può assomigliare a Napoleone, il pazzo che assume le forme di un uccello e così via.

"Ma il personaggio di gran lunga più interessante" racconta Fellini "che sta a sé, completamente fuori di questa galleria di fenomeni più o meno patologici, il personaggio portentoso è il dottor Gustavo Rol, di Torino. Anche lei certo ne ha già sentito parlare. Non si tratta di un "mago" più dotato degli altri. È un signore civilissimo, colto, spiritualmente raffinato, che ha fatto l'università, dipinge, si è dedicato per anni all'antiquariato. Ma dispone di tali poteri che non si capisce come non sia famoso in tutto il mondo. Chissà, forse non è ancora venuto il suo momento."Quello che Rol sa fare è pauroso. Chi assiste prova la sensazione di un uomo che sprofonda in un abisso marino senza scafandro. È la testimonianza fascinosa e provocatoria di una trascendenza. Se non si resta terrorizzati è soltanto per il suo modo gioviale e scherzoso un po' da Fra Ginepro, per l'atmosfera salutare che si sprigiona da lui. Del resto egli stesso, prima degli sperimenti, cerca, con opportuni avvertimenti, di creare un limite alla meraviglia, altrimenti si potrebbe rimanerne schiantati."



Del prodigioso mondo in cui vive Gustavo Rol, Fellini mi ha parlato a lungo, senza un dubbio, senza una riserva. Ecco quattro episodi esemplari. Erano seduti, Fellini e Rol, in una sala dell'albergo Principe di Piemonte, a Torino. Accanto a loro un tavolino con sopra un grosso calamaio d'argento. "Adesso provo un esperimento" disse Rol. "Guarda però che non mi riesce sempre. Vedi quel calamaio? Ti prego tienilo d'occhio." Fellini fissò il calamaio. Subito ebbe la sensazione che "qualcosa succedesse dentro di lui, qualcosa di obliquo, come un malessere lucido". 
A un tratto, mentre continuava a fissare il calamaio gli "viene a fuoco" il piano del tavolino, con eccezionale evidenza, ma senza più il calamaio. Sotto i suoi occhi il calamaio era sparito. E Rol non si era mosso dalla poltrona, non aveva mosso le mani.

" Il calamaio era sparito" spiega Fellini. "Si trattava però come di un'eco. L'operazione, come dire?, era avvenuta su di un altro piano, io ne percepivo soltanto una rifrazione." Rol era sudatissimo, quasi uscisse da un lungo e spossante sforzo. Ma scherzava: "Adesso mi arresteranno come ladro. Adesso come facciamo? Riuscirò a far tornare il calamaio? Quel signore laggiù ci sta guardando. Lo conosci tu quel signore laggiù in fondo?". Fellini si voltò a guardare. Non c'era nessun signore. Riportò gli sguardi al tavolino. Il calamaio era tornato."Come può fare cose simili? Da quello che ho vagamente intuito, Rol deve compiere una serie di operazioni mentali in cui crea un certo ordine che si traduce in realtà fisica. Chissà, si direbbe che conosca la famosa legge di Einstein per cui la materia può trasformarsi in energia e viceversa; solo che lui la realizza sul piano mentale." Un altro prodigio avvenne in un ristorante, pure a Torino. Avevano finito di pranzare, era già stato pagato il conto. "Andiamo?" propose Fellini. "Andiamo pure" rispose Rol. Fellini fece per avviarsi all'uscita ma si accorse che Rol stava seduto. "Non ti alzi?" gli chiese. "Ma io sono già alzato" fece Rol. "Io sono in piedi." Fellini guardò meglio: Rol era alzato, infatti, ma aveva la statura di un nano. Il dottor Gustavo Rol, che sfiora il metro e ottanta, non era più alto di un bambino di dieci anni. Qualcosa di folle, di allucinante: come Alice nel paese delle meraviglie. "Su, andiamo, andiamo" fece Rol a Fellini annichilito. Ma a Fellini mancò di nuovo il fiato; senza che egli avesse potuto percepire il mutamento, Rol di colpo si era trasformato in un gigante, stava accanto a lui come un cipresso, lo sovrastava di almeno una spanna. Ed eccoli al parco del Valentino, Rol e Fellini, in un pomeriggio sonnolento. Contrariamente al solito, Rol è malinconico, parla poco, insegue certi suoi sconosciuti pensieri. Si siedono in silenzio su una panchina. Più in là, seduta a un'altra panchina, una nurse dormicchia con dinanzi la carrozzella del bambino. Sopra la carrozzella si mette a girare un grosso calabrone. "Guarda là" dice Fellini "bisogna andare a cacciare via quella bestiaccia" "No, non occorre" risponde Rol, e tende la mano destra in direzione dell'insetto. Uno schiocco di dita, e il calabrone cade a piombo, fulminato secco. "Ah, mi dispiace" deplora l'uomo misterioso e affascinante. "Mi dispiace. Questo non dovevo fartelo vedere!"




Quarto caso. Per avere disobbedito, Fellini stette male, per due giorni non riuscì né a mangiare né a dormire. "Mi fa scegliere una carta da un mazzo. Era, mi ricordo, il sei di fiori. Prendila in mano, mi dice, tienila stretta sul tuo petto e non guardarla; ora, in che carta vuoi che la trasformi? Io scelgo a caso. Nel dieci di cuori, gli dico. Mi raccomando, ripete lui, tienila bene stretta e non guardarla. Lo vedo concentrarsi, fissare con intensità spasmodica la mia mano che tiene la carta. Intanto io penso: perché mai non devo guardare? Sì, me lo ha proibito, ma il tono non era troppo severo. Che me lo abbia detto apposta per indurmi a trasgredire? Insomma, non resisto alla tentazione. Stacco un po' la carta dal petto e guardo. E allora ho visto... ho visto una cosa orrenda che le parole non possono dire... la materia che si disgregava, una poltiglia grigiastra e acquosa che si decomponeva palpitando, un amalgama ributtante in cui i segni neri dei fiori si disfacevano e venivano delle venature rosse... A questo punto ho sentito una mano che mi prendeva lo stomaco e me lo rovesciava come un guanto. Una inesprimibile nausea... E poi mi sono trovato nella mano il dieci di cuori."

Per ultimo ho chiesto a Fellini: "Di tutte queste esperienze, di tutte queste stregonerie, c'è stata qualche ripercussione nella realizzazione del film?"

"È difficile rispondere" dice Fellini. "Certo, mi sono trovato di fronte a una quantità di imprevedibili e strane opposizioni, quasi che una forza oscura mi volesse scoraggiare. Cose vaghe, però, forse soltanto mie assurde sensazioni... E poi, a motivo di questo film, alcune amicizie si sono guastate, perdute, distrutte. Si intende, amicizie apparenti, di superficie... Contro la vera amicizia non credo che la magia possa fare molto."



I misteri d'Italia, Oscar Mondadori, 1978, Milanodi Dino Buzzatti, amico, scrittore, fu lui a fargli conoscere il medium Gustavo Rol, personaggio mitologico, torinese, alto borghese,  schivo eppur noto, tanto da essere perfino convocato durante il sequestro Moro, personaggio nella storia d'Italia.

QUALCHE DETTAGLIO PRATICO:   
Su Twitter, Pinterest e Facebook sono aperte delle finestre, anche in inglese anche,  di questo progetto, per proteggere la conoscenza, le fonti, le idee, e fare diplomazia culturale: cercatele, se vi serve, se usate questo lavoro citatelo. 

Qui un marcetta "di Carlotta", composta pare, dal vero Maestro Rota.


L'inconoscibile passato



L'idea di fare un film su la paganita', come Satyricondi studiare cosa poteva essere un uomo prima dell'avvento del cristianesimo, di disegnare la psicologia di un essere privo di prospettive sul significato della sua vita, e delle sue azioni, mi stimola 
molto. Petronio poi, anche a scuola, mi aveva affascinato  per la questione dei frammenti, che per forza di inducono  a riempire le parti mancanti [...] 


Brano tratto da Il Popolo, intervista del 1968. Le immagini da Satyricon. Infondo al post trovate un piccolo spazio bianco da riempire con un pensiero, un'emozione, se vorrete, e anche per condividere la conoscenza, e proteggere questo lavoro. Grazie. 




Le forze terribili ci abitano




“Ciò che fa Gustavo Rol è talmente 
meraviglioso che diventa normale; insomma, c’è un limite allo stupore. Infatti le cose che  fa, lui li chiama giochi, nel momento in cui le vedi per  tua fortuna non ti stupiscono, ma nel ricordo assumono una dimensione sconvolgente. Com’è Rol? A chi assomiglia? Che aspetto ha? 
È un po’ arduo descriverlo. Ho visto un signore dai modi cortesi, l’eleganza sobria, potrebbe essere un preside di ginnasio di provincia, di quelli che qualche volta sanno anche scherzare con gli allievi, e fingono piacevolmente di interessarsi ad argomenti quasi frivoli. Ha un comportamento garbato, impostato ad una civile discrezione, contraddetta talvolta da allegrezze più abbandonate, e allora parla con una forte venatura dialettale che esagera volutamente, come “Macario”, e racconta volentieri barzellette. 
Credo che la ragione di questo comportamento sia nella sua costante e previdente preoccupazione di sdrammatizzare le attese, i timori, lo sgomento che si possono provare davanti ai suoi traumatizzanti prodigi di mago


Ma, nonostante tutta questa atmosfera di familiarità, di scherzo tra amici, nonostante questo suo sminuire, ignorare, buttarla sul ridere per far dimenticare e dimenticare lui per primo tutto ciò che sta accadendo, i suoi occhi, gli occhi di Rol non si possono guardare a lungo. Son occhi fermi e luminosi, gli occhi di una creatura che viene da un altro pianeta,gli occhi di un personaggio di un bel film di fantascienza. Quando si fanno “giochi” come i suoi, la tentazione dell’orgoglio, di una certa misteriosa onnipotenza, deve essere fortissima. Eppure Rol sa respingerla, si ridimensiona quotidianamente in una misura umana accettabile.  Forse perché ha fede e crede in Dio.  I suoi tentativi spesso disperati di stabilire un rapporto individuale  con le forze terribili che lo abitano, di cercare di definire una qualche costruzione concettuale, ideologica, religiosa, che gli consenta di addomesticare in un parziale, tollerabile armistizio la tempestosa notte magnetica che lo invade, scontornando e cancellando le delimitazioni della sua personalità, hanno qualcosa di patetico ed eroico”.


Qui il "suo" (cosiddetto) testamento audio, conservato dal fratello: qui invece qualche notizia sulla sua vita per chi proprio non ne avesse mai sentito parlare. Su questo argomento troverete qualche altro brano e video, cercando il nome di Rol, magia, Torino, qualche volta anche calabrone, e lascio che lo scopriate da voi. 


Questo archivio nasce come strumento di ricerca ed a disposizione gratuita di tutti: se lascerete un messaggio farete sapere che siete passati da qui, e condividerete la conoscenza, in qualche modo gentile. In particolare se lo avete usato nel vostro lavoro, citate le fonti, mantenete la distanza. Le immagini sono spesso della curatrice, o altrimenti abbinate senza alcun legame di senso o semantico con i testi, per questione di stile. 




Paradiso Fellinesque



"Il cammino e' arduo, ma ben tre donne verrano in suo aiuto. La vergine, Lucia, e Beatrice. Un flusso di luce beata che invade così l'anima del poeta, che riprenderà' vigore e punterà' su Beatrice tutte le sue speranze. Perché e' Beatrice che si farà' intermediaria tra lui e Dio, e' sempre Beatrice che diraderà' le ombre e le inquietudini del pellegrino, facendogli superare i passi piu' difficili ed introducendolo alla scoperta di nuovi cieli. Beatrice diventa così simbolo di grazia, di bellezza, di verità e di pienezza, perduta com'e' in quell'amore che mi fa parlare .... 




Al di la' di questo canto il cuore si dilata in un respiro pieno: il viaggio sara' lungo ed il cammino alto e silvestre ma lassa ormai brilla una stella ... ".





(traccia di un soggetto su Dante e Beatrice, dato dal regista Fellini a Padre Angelo Arpa, e così riportato nel libro L'Arpa di Fellini, edizioni Oleandro. Immagini, vagamente ispirate all'Inferno di Dante, tratte dal Satyricon, ad evocare, genericamente "La divina commedia"). 

Questo archivio si usa come una mappa mentale, lasciando un messaggio contribuite alla conoscenza. Su questo tema potreste trovare altre voci e brani cercando: incompiuti, poesia, arpa. 



La suggestione invincibile





“Ma ecco che qualche cosa di misterioso, un’inconscia e invincibile suggestione, sembrò neutralizzare tutto quell’apparato di irriverente spettacolarità: la troupe, una troupe romana di cinema, ossia la miscela più inattaccabile di burbanza pretoriana e sonnolento scetticismo, che non si scompone per organica refrattarietà né davanti a miracoli né a catastrofi, al momento dell’apparizione del papa, concepita come una specie di immacolata, candida, sfavillante epifania, incorniciata dentro una grande trina di oro rilucente e contro una ruota sfolgorante che dietro la sua figura emanava bagliori di luce intensissima e raggiante, si fece via via sempre più silenziosa. Solo vocii smorzati, parole sussurrate, bisbigli. [...] La figura del papa, così ieratica e irraggiungibile, così sontuosamente e disumanamente regale, agiva con la forza occulta dell’archetipo, imponendoci anche nell’artificio una specie di ipnotica, incantata soggezione. La suggestione insomma era più forte della consapevolezza che eravamo stati noi a crearla, a trasmetterla, a suscitarla”.





Federico Fellini, Un regista a Cinecittà, Mondadori, Milano, 1988, pp.100-105

Il maestro che ti guida conosce più di te




Penso che il mondo musicale, l'atmosfera di un'orchestra, le prove, lo strumento prezioso chiuso dentro la valigetta che ha dei fianchi femminili, l'umiltà di un lavoro che consiste nell'inserirsi al momento giusto, esattamente quello, né un secondo prima né un secondo dopo, in un'azione collettiva, suonando magari soltanto due note, due sole, e poi attendere in silenzio, immobili, che di nuovo venga il momento per far nascere dallo strumento altre due note, con l'occhio fermo nell'attesa alla bacchetta del Direttore d'Orchestra, ecco mi sembra, dicevo, che la condizione dell'orchestrale in maniera molto suggestiva possa rappresentare simbolicamente un atteggiamento umano altamente religioso. Tu cioè fai il tuo lavoro con modestia ed umiltà, senza pretendere di conoscere il senso ed il disegno intero di questo lavoro, fiducioso che il maestro che ti guida conosce e sa più di te.


Lettera a Dino De Laurentis, 1965, riportata inedita ed interamente nel libro Il viaggio di G. Mastorna, Quodlibet Compagnia Extra.  
Questo archivio funziona come una mappa mentale, per associazioni libere, cercate da soli: le immagini solitamente non sono legate ai testi, mentre sempre i link esterni restano esterni, per rispetto della cultura digitale, che questo piccolo spazio testimonia; poi lasciate una traccia del vostro passaggio qui, se volete. 




In gara con Dio




“Il cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio.”