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Andreotti come Otello



A Fellini Andreotti sembrava “inventato da un grande romanziere”, un personaggio “da corte shakespeariana come Otello”. 

Furono a lungo in corrispondenza, come racconta il libro di un giovane studioso, Andrea Minuz, Viaggio al termine dell’Italia. Fellini politico (Rubbettino, 242) che  ospita in appendice i brani dell’epistolario tra Fellini e Andreotti. 


Qui il resto di questa strana e lunga storia.





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L'artista non lo sa!




"Come mai ad un film, e quindi al suo autore, si attribuisce il dovere carismatico di risolvere questioni che non hanno niente a che fare con il suo lavoro? Perché da un film si pretendono risposte chiare, nette, definitive sulla vita, sul mondo, sui grandi problemi? Un film invece, se è un prodotto artistico, non ha intenzione di indicare le strade nelle quali il mondo dovrebbe muoversi".


F. Fellini ne Il Tempo del 5 novembre 1978, intervistato dal critico  G. L. Rondi.  
Sul tema del lavoro del poeta, del cinema, dell'artista, parola che Fellini non amava, sul suo lavoro di sutura come lo chiamava, trovate molti brani, trascritti o audio, ed in particolare cercando: medium, pericoli, perizia, poesia. Questo piccolo archivio appare come una mappa mentale, se navigate tra le parole, le  trovate alla destra del vostro schermo, segnerete un vostro cammino; infondo alla pagina potete lasciare un messaggio, nello spazio apposito, vuoto come un fumetto, oppure potete condividere i post e contribuire a questo lavoro.  



Un cretino impaziente



Sono estraneo alla televisione. Non mi attrae. 

Non mi crea curiosità. Non credo sia un mezzo di espressione, ma un mezzo di distribuzione. 
Puo' trasmettere perfino film, restringendoli, modificandoli, deformandoli, riducendoli a cartoline. Le continue interruzioni sono un arbitrio, non solo verso l'opera o l'autore, ma anche verso lo spettatore, che si abitua ad un linguaggio singhiozzante, a tante piccole ischemie dell'attenzione, che alla fine ne faranno un cretino impaziente. Incapace di collegamenti mentali, di previsioni e anche di quel senso di musicalità, di euritmie, e armonia che sempre
 accompagna qualcosa che viene raccontato [...].



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da Italiani ribellatevi, Panorama, intervista del 1985. Prego notare la data. Inoltre nella foto, piu' o meno siamo li, la visita di Antonioni a Fellini, sul set de La Nave va. Inutile  commentare la perdita di collegamenti, euritmie, bellezza. Proteggete la conoscenza, condividete questo post, con chi amate preferibilmente, i pulsanti sono in basso, e c'e' anche uno spazio vuoto per i pensieri o i sentimenti, che voleste condividere, se quello che leggete vi riguarda, vi serve: per me, per questo lavoro, se lascerete un messaggio farete sapere che anche voi siete passati da qui. Grazie).





Quanta pace sta in un sorriso


Son ben contento di trovare degli ostacoli e tutti quei nemici che si frappongono tra me e quello che voglio fare.


E' solo combattendo contro tutto questo che io capisco meglio quello che 
voglio fare.

Tutta la nostalgia, tutto l'amore che metto in quella lotta,  allontana il pericolo da me. 




Il link per il resto dell'intervista, manca: purtroppo, che era una delle poche in cui vedete un sorriso 
dolce e divertito di Fellini che era un tipaccio, oltre che un gattone.

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Sogni ridicoli


Puo' darsi che molti oggi non ricordino la politica. Cosa poteva significare negli anni Trenta, Cinquanta, Settanta, per chi aveva visto la guerra, il fascismo, la sua caduta, la nascita della democrazia. Puo' darsi, che oggi non ci sia un grammo di politica nei nostri discorsi. Per Fellini, per un fatto anche puramente biografico, era diverso. 

Via via lo racconteremo, anche cosa accadde quando tradi' la causa del neorealismo, si fece odiare dai comunisti, ma mica solo. Comunque, questo discorso sul fascismo, lo capirebbe meglio uno psicoanalista. Perche' e' un fatto interiore, una visione dell'uomita', dell'essere, della vita emotiva. Ma questo lui lo dice molto meglio. Ci torno sopra visto che non siamo che all'inizio di una fase evolutiva nuova, ed il passato ci assedia e ci trattiene. 




"Non voglio dire che noi italiani non siamo andati al di là dell'adolescenza e del fascismo. Sarebbe una affermazione eccessiva - ed ingiusta. Le cose sono certo molto cambiate da allora, é naturale. Eppure se ti tiri fuori dal giro di centomila persone che più o meno si conoscono tutte l'una con l'altra, e prendi un treno -  che non prendiamo più -  e sali in una carrozza di seconda classe e ascolti i suoni che si scambia la gente e questi suoni riesci a riferirli a malapena ad un concetto, l'impressione é sempre di non sapere se stai tra contemporanei oppure sei un marziano, se sei impazzito (ma forse anche questi nostri discorsi sembreranno privi di senso a quei viaggiatori di seconda classe ...)". 

Insomma in generale il sentimento che prova uno che attraversa l'Italia, a quel modo, é che l'Italia mentalmente sia sempre un po' la stessa. 

Per dirla in altro termini, ho l'impressione che fascismo ed adolescenza  continuino ad essere in una certa misura le stagioni storiche permanenti della nostra vita. L'adolescenza, della nostra vita individuale: il fascismo, in quella nazionale.


Questo restare cioè eternamente bambini, scaricare le responsabilità sugli altri, vivere con la confortante sensazione che c'è qualcuno che pensa per te, e una volta può essere la mamma, una volta il papà, una volta il sindaco, una volta il duce, una volta la Madonna, una volta il vescovo, insomma gli altri ...




Ed intanto tu hai questa limitata libertà giocherellona che ti consente di coltivare sogni ridicoli: il sogno del cinema americano, o il sogno orientalizzante della donna, in definitiva miti mostruosamente inattuali che a tutt'oggi mi sembrano il condizionamento più grave dell'italiano medio. 
E mi sembra che, ancor prima del fascismo, la colpa di questo cronico mancato sviluppo, di questo arresto ad uno stadio bambinesco, sia nella chiesa cattolica. Vivendo sotto questa specie di campana, ciascuno sviluppa non caratteristiche individuali, ma solo anomalie patologiche".




Riva Valerio: "Intervista a Fellini", da L’Espresso, 26 maggio 1976. Foto dal film AMARCORD, la scena in cui i fascisti sparano al campanile, da cui viene la musica. Questo archivio digitale funziona come una mappa mentale, navigate nelle parole alla destra dello schermo. Su questo tema, che da apolitico quale veniva tacciato, tornava spesso trovate molte tag. Condividete questo post coi pulsanti predisposti in fondo a questa paginetta, se lascerete un segno del vostro passaggio nei commenti, arricchirete questo lavoro e proteggete la conoscenza. 





Frasi fatte e poi dimenticate



«Roma è la summa di tutti i nostri errori»


 La Dolce Vita  
«è come comporre una statua e romperla a martellate».





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.. siamo un'esperimento non riuscito di nazione?










Dovremmo tutti riflettere su cosa sia l'italianità.

Cioe' essere italiano. Nel nostro quotidiano abbiamo anche noi complicità, compromessi, abbiamo preteso e tradito.



La Stampa, 1993. 
Le tangenti di M. Tropeano. L'idea di un carattere nazionale, tanto cara anche agli inglesi, e presente anche nelle idee poetiche di Dante, torna in Fellini fino alla fine,  come questione irrisolta, della sua propria identita' e sempre con grande amarezza, rispetto ai cambiamenti che vedeva accadere e aveva visto durante il fascismo.

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Le idee bugiarde

Non sono protetto, sostenuto, guidato da nessuna ideologia, ne' religiosa, ne' politica. Sono veramente un cantastorie.

Parto sempre da un sentimento, 
da un ricordo, da una nostalgia,
non da un'idea.







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Uno strano pellegrinaggio

Roma, agosto 1965






 
Federico Fellini è attualmente in Italia la persona più carica di misteri. Per il suo nuovo film, Giulietta degli spiriti, Fellini ha girato penisola e isole per oltre due mesi visitando i più strani o addirittura inverosimili personaggi, maghi, indovini, streghe, invasati, medium, astrologi, operatori metapsichici, depositari di occulte potestà, ne ha fatto una scorpacciata, ne è rimasto saturo.


Non è che volesse utilizzare questi tipi per il suo film. Giulietta degli spiriti non è un documentario di prodigi tradotti in chiave fantastica. È una favola inventata di sana pianta nella vicenda, nei personaggi e nell'ambiente. Di tutti i maghi interpellati, compare in carne ed ossa soltanto Genius (pronuncia "ginius" all'inglese) lo sconcertante e pittoresco indovino di Roma che per il modo di vestire e di atteggiarsi ricorda il sarto Schubert. Il pellegrinaggio è servito a Fellini soltanto come preparazione psicologica indiretta. Il contatto con quelle creature in certo modo dava impulso alla carica magica che già Fellini aveva dentro di sé, così come in certi scrittori la musica serve a promuovere le idee. E a giudicare dai risultati il sistema è stato ottimo. In Giulietta degli spiriti, che Fellini mi ha fatto vedere, il clima di sortilegio, di inquietudine, di attesa, non viene mai meno, con una varietà abbacinante di motivi e fantasmagorie. Fellini però ne parla con cautela, cercando di minimizzare la sua impresa. Va da sé che il regista ha una grande fiducia in sé, altrimenti non oserebbe mai tentare film come questo. Ma poi, quando ne discorre, entra in gioco il suo istintivo understatement. La classe, anche come uomo, è rivelata subito da questa disarmante quanto spontanea semplicità. Un altro autorevole esempio a conferma che il talento e il darsi importanza non possono andare d'accordo.
Ora, fra tanti personaggi dell'Italia magica - gli chiedo - chi gli ha fatto più impressione? La maggioranza, anche se si trattava di fenomeni notevoli, non aveva niente di eccezionale. I soliti tavolini semoventi, le solite decifrazioni chiromantiche, le solite letture delle carte, le solite interpretazioni degli astri, le solite operazioni taumaturgiche; con risultati spesso curiosi o addirittura impressionanti. Nulla però che si staccasse dal classico repertorio.
Molti di questi maghi, o sedicenti maghi, pareva avessero smarrito ogni personalità, come se fossero posseduti da un potere estraneo a loro; risultavano quindi alquanto stolidi, o assolutamente infantili, o inesistenti come creature umane. Agivano come automi, non tentando neppure una interpretazione di ciò che facevano.
Comunque, Fellini mi cita Pasqualina Pezzolla, di Porto Civitanova, che riesce a "vedere" l'interno del corpo umano quasi i visceri fossero completamente scoperchiati ed esposti alla luce. Ed è quindi in grado di fare delle diagnosi di una precisione tremenda. "Sembra un Macario vestito da donna" racconta Fellini. "È una ex-contadina, priva di studi ma dotata di un notevole orecchio; a espressioni rozze e popolaresche mescola una terminologia medica d'accatto che coi clienti le conferisce un certo tono. Per farsi visitare vengono anche da lontanissimo, intorno alla sua casa c'è sempre una folla che aspetta, bivaccano perfino nella strada per non perdere il turno. Come fa a visitare i malati? Pasqualina siede, fissando il cliente, con respinti sempre più affannosi e contratti. Cade insomma in una specie di lieve trance. La si vede trasformarsi, e dalla sua faccia sembra uscire un altro volto più aguzzo. Intanto tiene una mano a visiera sopra gli occhi, come per ripararsi dalla luce. Poi si alza in piedi. Biascica e parlotta tra sé forse delle formule magiche. Si risiede. Ha due tre violenti scossoni. Sorride. È pronta. Comincia a parlare: vedo lo stomaco un po' spostato in basso, vedo tre calcoli uno grosso e due piccoli nel sacchetto della bile... Tale e quale che se invece degli sguardi avesse i raggi X."



Mi parla a lungo anche di "zio Nardu", un bizzarro vecchio che diventava cavallo. Abitava in una povera bicocca fuori Nuoro. Fellini ci andò accompagnato da un pretino in fama di buon esorcista. Arrivati alla casa di zio Nardu, dovettero aspettare due ore perché lui non voleva aprire. Alla fine si spalancò la porta e zio Nardu apparve, un vecchietto di settant'anni, all'apparenza niente di straordinario. Come vide il prete, si fece il segno della croce. Salutò in tono piuttosto servile. Subito il pretino lo redarguì severamente: "Ti vuoi convertire finalmente? la devi smettere di trasformarti in bestia! Altrimenti finirai all'inferno..." E lui diceva di sì, era pentito, prometteva di non farlo più, lacrime gli colavano dagli occhi. A questo punto intervenne Fellini; il pretino, continuando così, gli avrebbe rovinato tutto quanto. "Sì, zio Nardu, tu devi convertirti" disse il regista. "Sono venuto apposta da Roma per parlare con te. Ma, per dimostrarti la sua benevolenza, la Chiesa ti dà il permesso di diventare bestia ancora una volta." A quelle parole zio Nardu si rianimò, fece una grande risata, poi si mise a parlare velocemente, non si capiva una parola, sembrava recitasse una filastrocca di nomi messi insieme senza nesso


All'improvviso cominciò a nitrire, non a emettere suoni, simili a nitriti, ma a nitrire veramente come un cavallo. Ben presto avvenne una metamorfosi mostruosa. La faccia divenne un muso, il muso si allungò a vista d'occhio assumendo fattezze equine; gli occhi si ingrandirono, divennero interamente neri e lucidissimi, appunto come gli occhi dei cavalli, le orecchie si spostarono in alto, così da sporgere dalla sommità del capo. Perfino il corpo, sembrò a Fellini, acquistava un certo che di cavallino. Allora, sempre cacciando altissimi nitriti di gioia, l'uomo-cavallo cominciò a scalciare furiosamente. E il pretino a recitare le formule sacre dell'esorcismo. Fino a che l'altro si quietò e nel giro di pochi secondi riacquistò sembianze umane.
Al termine dell'inusitata scena, Fellini si trattenne a discorrere con zio Nardu. "Spiegami un po'" gli chiese: "perché ti piace fare il cavallo?". "Ma il cavallo è il più buono, è il più onesto degli uomini" rispose il vecchio con entusiasmo. "Non c'è niente di più bello di un cavallo. Sì, sì, io sono un cavallo." Zio Nardu è morto recentemente, del tutto felice perché nella suprema agonia aveva avuto una delle sue crisi, tramutandosi in destriero. E i suoi ultimi rantoli furono nitriti. Un matto, insomma, ma fuori della norma dei matti. Del resto, mi ha fatto notare Fellini, la pazzia in certi casi è "materializzante" cioè l'uomo finisce per assomigliare alla persona o alla cosa in cui si illude di essere trasformato. Così c'è il pazzo che può assomigliare a Napoleone, il pazzo che assume le forme di un uccello e così via.

"Ma il personaggio di gran lunga più interessante" racconta Fellini "che sta a sé, completamente fuori di questa galleria di fenomeni più o meno patologici, il personaggio portentoso è il dottor Gustavo Rol, di Torino. Anche lei certo ne ha già sentito parlare. Non si tratta di un "mago" più dotato degli altri. È un signore civilissimo, colto, spiritualmente raffinato, che ha fatto l'università, dipinge, si è dedicato per anni all'antiquariato. Ma dispone di tali poteri che non si capisce come non sia famoso in tutto il mondo. Chissà, forse non è ancora venuto il suo momento."Quello che Rol sa fare è pauroso. Chi assiste prova la sensazione di un uomo che sprofonda in un abisso marino senza scafandro. È la testimonianza fascinosa e provocatoria di una trascendenza. Se non si resta terrorizzati è soltanto per il suo modo gioviale e scherzoso un po' da Fra Ginepro, per l'atmosfera salutare che si sprigiona da lui. Del resto egli stesso, prima degli sperimenti, cerca, con opportuni avvertimenti, di creare un limite alla meraviglia, altrimenti si potrebbe rimanerne schiantati."



Del prodigioso mondo in cui vive Gustavo Rol, Fellini mi ha parlato a lungo, senza un dubbio, senza una riserva. Ecco quattro episodi esemplari. Erano seduti, Fellini e Rol, in una sala dell'albergo Principe di Piemonte, a Torino. Accanto a loro un tavolino con sopra un grosso calamaio d'argento. "Adesso provo un esperimento" disse Rol. "Guarda però che non mi riesce sempre. Vedi quel calamaio? Ti prego tienilo d'occhio." Fellini fissò il calamaio. Subito ebbe la sensazione che "qualcosa succedesse dentro di lui, qualcosa di obliquo, come un malessere lucido". 
A un tratto, mentre continuava a fissare il calamaio gli "viene a fuoco" il piano del tavolino, con eccezionale evidenza, ma senza più il calamaio. Sotto i suoi occhi il calamaio era sparito. E Rol non si era mosso dalla poltrona, non aveva mosso le mani.

" Il calamaio era sparito" spiega Fellini. "Si trattava però come di un'eco. L'operazione, come dire?, era avvenuta su di un altro piano, io ne percepivo soltanto una rifrazione." Rol era sudatissimo, quasi uscisse da un lungo e spossante sforzo. Ma scherzava: "Adesso mi arresteranno come ladro. Adesso come facciamo? Riuscirò a far tornare il calamaio? Quel signore laggiù ci sta guardando. Lo conosci tu quel signore laggiù in fondo?". Fellini si voltò a guardare. Non c'era nessun signore. Riportò gli sguardi al tavolino. Il calamaio era tornato."Come può fare cose simili? Da quello che ho vagamente intuito, Rol deve compiere una serie di operazioni mentali in cui crea un certo ordine che si traduce in realtà fisica. Chissà, si direbbe che conosca la famosa legge di Einstein per cui la materia può trasformarsi in energia e viceversa; solo che lui la realizza sul piano mentale." Un altro prodigio avvenne in un ristorante, pure a Torino. Avevano finito di pranzare, era già stato pagato il conto. "Andiamo?" propose Fellini. "Andiamo pure" rispose Rol. Fellini fece per avviarsi all'uscita ma si accorse che Rol stava seduto. "Non ti alzi?" gli chiese. "Ma io sono già alzato" fece Rol. "Io sono in piedi." Fellini guardò meglio: Rol era alzato, infatti, ma aveva la statura di un nano. Il dottor Gustavo Rol, che sfiora il metro e ottanta, non era più alto di un bambino di dieci anni. Qualcosa di folle, di allucinante: come Alice nel paese delle meraviglie. "Su, andiamo, andiamo" fece Rol a Fellini annichilito. Ma a Fellini mancò di nuovo il fiato; senza che egli avesse potuto percepire il mutamento, Rol di colpo si era trasformato in un gigante, stava accanto a lui come un cipresso, lo sovrastava di almeno una spanna. Ed eccoli al parco del Valentino, Rol e Fellini, in un pomeriggio sonnolento. Contrariamente al solito, Rol è malinconico, parla poco, insegue certi suoi sconosciuti pensieri. Si siedono in silenzio su una panchina. Più in là, seduta a un'altra panchina, una nurse dormicchia con dinanzi la carrozzella del bambino. Sopra la carrozzella si mette a girare un grosso calabrone. "Guarda là" dice Fellini "bisogna andare a cacciare via quella bestiaccia" "No, non occorre" risponde Rol, e tende la mano destra in direzione dell'insetto. Uno schiocco di dita, e il calabrone cade a piombo, fulminato secco. "Ah, mi dispiace" deplora l'uomo misterioso e affascinante. "Mi dispiace. Questo non dovevo fartelo vedere!"




Quarto caso. Per avere disobbedito, Fellini stette male, per due giorni non riuscì né a mangiare né a dormire. "Mi fa scegliere una carta da un mazzo. Era, mi ricordo, il sei di fiori. Prendila in mano, mi dice, tienila stretta sul tuo petto e non guardarla; ora, in che carta vuoi che la trasformi? Io scelgo a caso. Nel dieci di cuori, gli dico. Mi raccomando, ripete lui, tienila bene stretta e non guardarla. Lo vedo concentrarsi, fissare con intensità spasmodica la mia mano che tiene la carta. Intanto io penso: perché mai non devo guardare? Sì, me lo ha proibito, ma il tono non era troppo severo. Che me lo abbia detto apposta per indurmi a trasgredire? Insomma, non resisto alla tentazione. Stacco un po' la carta dal petto e guardo. E allora ho visto... ho visto una cosa orrenda che le parole non possono dire... la materia che si disgregava, una poltiglia grigiastra e acquosa che si decomponeva palpitando, un amalgama ributtante in cui i segni neri dei fiori si disfacevano e venivano delle venature rosse... A questo punto ho sentito una mano che mi prendeva lo stomaco e me lo rovesciava come un guanto. Una inesprimibile nausea... E poi mi sono trovato nella mano il dieci di cuori."

Per ultimo ho chiesto a Fellini: "Di tutte queste esperienze, di tutte queste stregonerie, c'è stata qualche ripercussione nella realizzazione del film?"

"È difficile rispondere" dice Fellini. "Certo, mi sono trovato di fronte a una quantità di imprevedibili e strane opposizioni, quasi che una forza oscura mi volesse scoraggiare. Cose vaghe, però, forse soltanto mie assurde sensazioni... E poi, a motivo di questo film, alcune amicizie si sono guastate, perdute, distrutte. Si intende, amicizie apparenti, di superficie... Contro la vera amicizia non credo che la magia possa fare molto."



I misteri d'Italia, Oscar Mondadori, 1978, Milanodi Dino Buzzatti, amico, scrittore, fu lui a fargli conoscere il medium Gustavo Rol, personaggio mitologico, torinese, alto borghese,  schivo eppur noto, tanto da essere perfino convocato durante il sequestro Moro, personaggio nella storia d'Italia.

QUALCHE DETTAGLIO PRATICO:   
Su Twitter, Pinterest e Facebook sono aperte delle finestre, anche in inglese anche,  di questo progetto, per proteggere la conoscenza, le fonti, le idee, e fare diplomazia culturale: cercatele, se vi serve, se usate questo lavoro citatelo. 

Qui un marcetta "di Carlotta", composta pare, dal vero Maestro Rota.


La democrazia si respira



"Riconosco che il mio può essere un atteggiamento nevrotico, di rifiuto a crescere, determinato, forse in parte, dall'essere stato educato durante il fascismo, e quindi diseducato a ogni partecipazione in prima persona alla politica che non fossero esteriori dimostrazioni e cortei; e di aver conservato, nel tempo, la convinzione che la politica è una cosa dei grandi, fatta da signori pensosi (...) Ecco, forse il limite nel quale sono costretto tutt'oggi è quello di non aver mai respirato, nell'età della formazione, il vero significato della democrazia"





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Diciamola tutta!.



dolcevita ANITA EKBERG FELLINI

«Era un tipo molto esigente quando dirigeva, incline a improvvisi attacchi d’ira. Sul set era un padrone assoluto, d’altronde lui stesso lo diceva che fuori dal set si sentiva vuoto.
Apparentemente gentile, in realtà un despota. In privato era un disastro». In che senso? «Prima di tutto non aveva rispetto delle donne, affamato di sesso chiedeva prestazioni particolari».
 «Gli devo certamente molto, ma anche lui deve molto a me. Anzi, forse più lui a me che io a lui per la famosa scena nella fontana di Trevi. Fellini era uno che carpiva idee agli altri, persino all’ultimo dei macchinisti, e le faceva proprie, senza poi riconoscerne la paternità a chi di dovere». 


 «Può non credermi, ma Federico era proprio così, ma anche in questo suo carattere impossibile risiedeva la sua grandezza, non era certo un tipo ordinario».  «Era invidioso dei suoi colleghi registi, parlava male di tutti, però davanti faceva loro i complimenti». 




«Ricordo che aveva parole sprezzanti per Rossellini, Antonioni. Di Luchino Visconti una volta si lasciò sfuggire un giudizio irripetibile». 



«Sì, ma quello che mi dava fastidio è che lui era falso, voleva apparire diverso da ciò che era, non era coerente. Era un uomo razionale che dimostrava poi di essere assolutamente irrazionale». «Tutti sanno che era fissato con maghi e veggenti, come una donnetta... diciamola tutta, era un provinciale. Si affidava alla divinazione di sensitivi, figuriamoci... e per me, che sono sempre stata con i piedi piantati a terra, era francamente insopportabile». 




(Anita Edberg chiese che fosse pubblicata dopo la morte,  ma non dissimili altre confessioni di suoi collaboratori, e celebri i tradimenti e sceneggiatori a cui rubava idee e corna,  sono stati taciuti e sommariamente e sporadicamente raccontati, il resto del racconto della sua attrice icona lo trovate  qui


L'archivio funziona come una mappa mentale, usatela come delle libere associazioni, e cercate voi stessi. La relazione colle immagini segue il puro caso, per stile. Infondo alla pagina trovate e i pulsanti per condividere questa paginetta, e lo spazio per un commento. 



Il sogno interrotto


L'EUR e' un quartiere che non c'e'. 

Ha il fascino di uno speciale folle sogno, 
interrotto.

Mi affascina questo senso di provvisorietà,

che ha l'EUR, sembra di abitare dentro
 la fiera campionaria di Milano, con la 
sensazione che la mattina ti puoi svegliare e 
hanno sbaraccato tutto ...



Del senso di provvisorieta', cronica, che dava anche il cinema e del conforto che Fellini ci provava a star dentro, disse molte volte. Si vede anche nel suo alter ego, Marcello Mastroianni, come vaga nella vita, senza prendere mai la scena, da protagonista, quasi un leggero Amleto silenzioso. Per commentare o lasciare un messaggio infondo al post trovate i pulsanti e lo spazio. Grazie. 



Lo specchio




"La dolce vita e' un film veritiero: ed e' perché colpisce orribilmente la vita di molti, che taluni hanno reagito anche sulla stampa. Vi si sono visti descritti ed hanno avuto paura di se stessi".





Archivescovo di Genova Giuseppe Siri, interpellato da Padre Arpa, per mitigare o liberare la censura  sul film di Fellini. Nel menu' semantico trovate l'intera vicenda, raccontata sempre da altri. Vale la pena conoscerla. 

Questo archivio funziona come una mappa mentale, e per questione di stile tra immagini e testi non ci sono che legami casuali; conosci te stesso potrebbe essere il suo motto, ma non lo e' per davvero, solo fate da soli. E siate gentili, lasciate un messaggio del vostro passaggio, condividete le paginette che vi fossero servite, in fondo tutto quel che serve. I link esterni, sempre indicati come QUI, portano fuori dal blog. 
 

Le mine negli occhi



"Il telespettatore e' lo stesso pubblico del cinema, sono compagni di viaggio, gli amici che si vanno a prendere a l'aeroporto. Continuo a sostenere, e ho detto, che la televisione ha inflazionato l'autorità', il prestigio, del cinema. Bombardati come siamo da questa piccola macchina che e' alla casa, miliardi di immagini su tutto, ci priva anche la possibilità' di sognare, e questo ha degradato l'immagine, facendola diventare qualcosa di banale, che ha perso l'autorità' suggestiva dell'immagine, e questo ci ha portato a rinunciare al cinema, a dimenticarlo". 


Il resto qui.




Questo archivio funziona come una mappa mentale, per associazioni libere, cercate da soli: le immagini solitamente non sono legate ai testi, mentre sempre i link esterni restano esterni, per rispetto della cultura digitale, che questo piccolo spazio testimonia; poi lasciate una traccia del vostro passaggio qui, se volete. 













Roma si beffa di tutti, belli e brutti





"Di fronte alla religione cattolica io non ho atteggiamenti particolari. Vi sono stato allevato dentro. Sono relativamente cristiano. La domenica è la giornata che preferisco. C’è un’allegria da circo. Il mio personaggio nella Dolce Vita trasforma il suo soggiorno romano, all’ombra del cupolone, in una personale e volontaria via crucis. Vuole spiegarsi delle sue prerogative di “essere puro”, per perdersi sulla via del peccato. Mistero e dubbio perché resta pur sempre un provinciale in un paesaggio di carnevalesca depravazione. Perde e riconquista la morale; crede sinceramente. Questo conflitto si connota di un misterioso fascino. 
Roma è una città che con questo gioco, tra il bene e il male, si beffa di tutti. La morale è repressiva solo apparentemente. Per attuare questa apparente repressione tollera il peccato come un’acrobazia. La fede, a Roma, oltre che con il paganesimo flirta con il carnale. Il mondo non ci vedrà mai chiaro; è qui il suo fascino, anche in chi, sconfitto, la detesta. Il protagonista si imbatte in questo conformismo da dolce vita; irriguardevole soltanto per i poveri di spirito, comprensiva e incoraggiante in quelli che si credono “star”. Roma è divisa in due: religione abitudinaria e paganesimo, oggetto di consumo anche per il credente. Soltanto la politica, atteggiandosi ad autorevole, offre un ulteriore aspetto grottesco [...]".


Dall'Intervista a Paese Sera, di Maurizio Liverani, 
durante la preparazione de La Dolce vita. Immagini da AMARCORD. 


QUALCHE DETTAGLIO PRATICO:   
Vedrete che ho trascurato quasi interamente pettegolezzi, e letture agiografiche e tutta quella narrativa marketing o delle fazioni della battaglia politica, a meno che non potesse essere utile a fare un ritratto dell'epoca, inoltre ho dato molto spazio alle cose minori, silenziose, come ad esempio Nino Rota, senza la cui presenza l'arte di Fellini non sarebbe universalmente nota e riconoscibile, per il suo suono,  come e'. 
Dove ho potuto ho citato la fonte. Le immagini non sono mai o quasi mai legate ai testi, per motivi di stile e per le stesse ragioni invece quando uscite dal sito dovete ritornarvi da voi. Qualche volta i brani sono in in lingua originale, soprattuto documenti e recensioni, e lo indico sempre. Le pochissime cose oltre a questa che ho scritto io medesima, e non sono pensieri di Fellini, o di interesse sulla sua storia nella storia culturale del paese o sulla sua poetica, di solito di altri artisti o suo cari amici, viene indicato anche nelle tag, come "la nana di fellini". 
Su Twitter, Pinterest e Facebook nel tempo, per motivi diversi, ho creato delle piccole vetrine, in inglese anche,  di questo progetto, che spero possa scuotere soprattutto il mondo della cultura e delle arti, e ispirarci. Siate gentili. 


Qui un marcetta "di Carlotta", composta pare, dal vero Maestro Rota.





Un cosmonauta nello spazio




"Ormai gli uomini politici sono come delle maschere, sono come delle proiezioni di noi stessi. Siamo tutti sulla stessa barca [...] È incredibile la giornata di un uomo politico, sotto la psicosi del terrore. Un cosmonauta proiettato nello spazio è molto più padrone di sé e meno isolato di quanto non lo sia un uomo politico".




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