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La Presenza sempre benefica


Nell’ufficio di Corso d’Italia, e prima ancora nello studio di via Sistina, Fellini teneva una piccola fotografia appesa sulla parete alle spalle della scrivania, ed era di Bernhard, tra i pochi angeli custodi che vegliavano silenziosi sulla sua vita e sul suo lavoro. Nel terzo cassetto in basso a sinistra dello scrittoio, chiuso a chiave e avvolto in un drappo di seta nera, conservava l’I King, il ‘libro delle mutazioni’, nella prima edizione Astrolabio rilegata in nero, che l’amico terapeuta gli aveva regalato. 
Nel suo sfrenato individualismo il regista rifiutava ogni paternità, sosteneva di non avere alcun debito di formazione, neppure con Roberto Rossellini che pure considerava il padre Adamo; e tuttavia ammetteva che se doveva riconoscere un’influenza nella propria vita, l’unica persona importante era stata Ernst Bernhard. E nella sua voce affiorava immutabilmente una impalpabile incrinatura. Sosteneva di averlo conosciuto per un equivoco, telefonando a un numero scritto su un foglietto che gli era venuto tra le dita nella tasca della giacca e credeva appartenesse a una ‘bella signora”. Dall’altra parte del filo gli aveva invece risposto una voce maschile dall’accento tedesco, che l’aveva invitato ad andarlo a trovare nella sua abitazione di via Gregoriana, spiegandogli che non esistono casualità ma coincidenze; e spesso le nostre azioni meno consapevoli ci indicano la strada da seguire. Federico l’aveva ascoltato, ed erano diventati amici.
Non è certo che il regista sia stato in analisi da lui, non nel senso di una frequenza preordinata di metodo freudiano; a quanto pare, s’era trattato piuttosto di un itinerario conoscitivo di impronta junghiana. Federico si recava da Bernhard come un oracolo da consultare. 
Tra i quaderni dedicati ai pazienti che il terapeuta custodiva con scrupolo, e che oggi sono conservati in Austria poiché finiti in mano alla sorella di Dora Friedlander, sua seconda moglie, non figurano fascicoli con sopra il nome di Fellini. 
Distrutti, scomparsi, mai esistiti? 
Può darsi che le loro conversazioni, per un certo periodo assidue (ne esiste traccia nei Diari in cui Dora annotava le confidenze del marito, la sera a letto, prima di addormentarsi), non rivestissero per Bernhard un vero carattere di psicoanalisi, ma rappresentassero piuttosto lo scambio fecondo tra due nature particolarmente creative. 
Da quanto potevo dedurre, Fellini non seguiva un rigido programma di appuntamenti, ma ricorreva allo psicologo quando si trovava in stati di incertezza o di difficoltà a prendere decisioni; oppure anche ne cercasse la preziosa consulenza per i film in cui si avventurava nel linguaggio specifico dell’inconscio, come in “Otto e Mezzo” e soprattutto in “Giulietta degli Spiriti” (l’amico morì nello stesso anno di uscita del film, 1965). In ogni caso Ernst Bernhard, anche dopo scomparso, continuò a rappresentare un insostituibile riferimento per tutta la vita; e quando Federico interrogava con religiosa compunzione il libro cinese de responsi, certamente era anche a lui che si rivolgeva.
Ernst Bernhard era stato allievo di Carl Gustav Jung a Zurigo, e il fondatore della Psicologia Analitica quando ne aveva bisogno di appoggiava alle sue approfondite conoscenze astrologiche e chirologiche. Nel 1936 per sfuggire alle leggi razziali di Hitler contro gli ebrei, si era trasferito a Roma; e nella sua abitazione di via Gregoriana, adiacente a Trinità dei Monti, aveva creato assieme a Dora, ancora sua fidanzata, un cenacolo importante di studi esoterici. Ne riferisce ampiamente Luciana Marinangeli in “Risonanze Celesti – L’aiuto dell’astrologia nella cura della psiche, uscito da Marsilio. L’editore Aragno ha pubblicato, a cura della medesima studiosa, “Lettere a Dora”, l’intero epistolario intercorso tra Ernst e Dora Friedlander nel corso dell’anno in cui lo psicanalista venne assegnato dal regime fascista al campo di internamento di Ferramonti, in Calabria, a 35 Km da Cosenza. Per aggirare il censore, i due corrispondenti si trattavano da cugini affettuosi (sembra che lo fossero molto alla lontana) e non mancavano di evidenziare in testa alle missive i propri crediti accademici, illudendosi che potessero valere come un possibile futuro salvacondotto.  Bernhard ne approfittava anche per disseminare abilmente nel testo rassicurazioni sulla propria posizione estranea all’ebraismo, da cui si era distaccato fin dal lontano 1925 abbracciando il cristianesimo.
Ernst era stato prelevato a Roma all’improvviso l’8 giugno del ‘40, due giorni prima dell’entrata in guerra dell’Italia, recluso in un primo tempo nel carcere di Regina Coeli e successivamente internato a Ferramonti, il campo di prigionia allestito alla meno peggio in una zona paludosa e malarica, dove si inviavano a morire i nemici del regime. Dora, l’innamorata che ne aveva condiviso il destino venendo con lui in Italia, era una persona estremamente fragile e per molti versi dipendente psicologicamente dal compagno; al quale era legata oltre che dall’amore anche dagli studi parapsicologici a cui si dedicavano insieme con identica passione. In non poche lettere si comunicano gioie, preoccupazioni e speranze disegnando i ‘glifi’ zodiacali, le quadrature, le congiunzioni. Entrambi interrogano affannosamente il cielo in cerca di presagi e di risposte; ma mentre Dora riversa in ogni investigazione uranica la sua angoscia, Ernst per rincuorarla e sostenerla, cerca sempre di decifrare negli astri un quadro positivo, in cui le difficoltà appaiano piuttosto foriere di cambiamenti a loro favore. Applicava per indole e per apprendimento la visione junghiana, e orientale, del mutamento propizio degli eventi, che tanto conquistò Fellini portato per criscarattere a rendere produttivi i contrasti. Il regista aveva Marte in Bilancia, credo che ciò significhi un’aggressività depurata dall’impeto cieco, più coordinata alla ricerca di un equilibrio anche nella istintiva bellicosità.
Bernhard aveva intravisto motivi di ottimismo nella figura del direttore del campo, il Comandante di Pubblica Sicurezza Paolo Salvatore definito da Renzo De Felice “afascista”; il quale “riuscì a dare alle leggi inique un’interpretazione conciliante mostrandosi leale e rispettoso verso gli internati.”
Intanto Dora, dalla sua adorata Roma che continua a immortalare “in meravigliose fotografie in bianco e nero”, riesce a inviare a Ernst “i cerotti, i francobolli, il chinino, la tiroxina, il paralume di carta, le focacce, il cioccolatino”. Lui l’ha salvata da una tendenza depressiva ereditata dalla famiglia di origine e “con le lettere dal campo riesce a impedirle una deriva psichica più grave”. Lei contemplando una sua foto gli bacia le mani: “Ti ringrazio, ogni ora, sempre e per sempre.” E’ intensamente conquistata da quell’uomo speciale che la Marinangeli descrive “alto e stempiato, dall’aria distinta, lo sguardo attento e benevolo, e una testa curiosa, a uovo.”Dora bussa a ogni possibile porta per liberare Bernhard dal campo di concentramento; ma sarà decisivo l’incontro con il famoso scienziato orientalista Giuseppe Tucci. Ernst l’aveva sognato senza ancora conoscerlo, cinque anni prima a Berlino: si trovava in una caverna attraversata da soldati nemici, chiedeva da mangiare e un militare gli offriva del latte; era “un italiano con un viso di indiano.” Ernst sarà miracolosamente liberato il 14 aprile 1941 e tornerà nella casa di via Gregoriana, rimanendo nascosto in una stanza semi murata, anche grazie alla complicità degli altri inquilini. Non cesserà mai di credere nella Divina Provvidenza, che definisce “la misteriosa Presenza sempre benefica.”
Il 5 maggio 1965, un mese e mezzo prima che Bernhard si spegnesse, Federico è visitato da un sogno premonitore riguardo alla morte dell’amico terapista e le parole che scrive hanno un tono disperato:
« “Amore  mio” (sottolineato) dico travolto dalla commozione, vorrei aggiungere altro ma temo che Bernhard possa notare nel mio dolore una sfumatura istrionesca, di compiacimento letterario».
Tre giorni prima della morte dello psicanalista, Federico annota nel libro dei sogni questa “visione ipnagogica”. La data è del 25-6-1965 e il regista chiama Bernhard “mio vero padre”:
«Violentissima sensazione di realtà. Ho udito lo schianto dei vetri. Ho fatto un balzo sul letto con la certezza che veramente qualcuno mi avesse lanciato un mattone (contro il parabrezza della mia auto)
Stavo missando Giulietta degli spiriti. Erano le 10 di mattina, una giornata di piena estate. Mi telefona da fuori Aluigi… – Hai saputo? – – Cosa? – Ieri sera è morto Bernhard! –
Sono corso a casa sua. La moglie sulla porta mi ha detto – Deve vederlo. E’ così bello! –
Sono entrato nello studio e molte cose erano come nel sogno che avevo fatto un mese prima. C’era un giovane vestito di nero, pallidissimo, bello un po’ effeminato, languoroso, funebre come molti giovani del sud. Era Antonio Gambino. Guardavo Bernhard che giaceva sul letto, che pace profonda, che serenità, l’aria attorno era limpida, profumata.
Vorrei poter vivere senza di te, vivere di te di ciò che hai saputo donarmi… Ti debbo moltissimo della mia vita. Ti debbo la possibilità di continuare a vivere con momenti di gioia. Ti devo la scoperta di una nuova dimensione di un nuovo senso di tutto, di una nuova religiosità… Grazie per sempre amico fraterno, mio vero padre. Aiutaci ancora spirito limpido, beato. Pace alla tua anima buona. Ricordati di noi, ti vogliamo tutti un bene dell’anima. Addio addio amico del cuore, santo uomo vero.»
Dopo la scomparsa di Bernhard, Fellini continuò a frequentare la moglie Dora, occasionalmente, in una decina di sedute che si esaurirono nel 1967.
Tramite un calcolo utilizzato dagli astrologi orientali per conoscere la durata della vita di una persona, Ernst già da molti anni aveva stabilito la data della propria morte, con un errore di soli otto giorni.
Chissà cosa il terapista aveva visto nel ‘cielo’ di Federico. 



(da Articolo 21, Gianfranco Angelucci, maggio 2019).  

Il proprio cuore


"Il neorealismo italiano e' un modo di pensare che e' stato nefasto, 
E ha contribuito alla degradazione del cinema, l'ho detto. Ma in un contesto polemico. Perché alcune volte tutto l'aspetto artigianale, la conoscenza, il lavoro, la fatica dell'espressione, veniva svalutato. 
Non e' che chiunque puo' prendere una macchina in mano, e da solo può fare il neorealismo. Il solo vero, poi, che non era attratto da passioni politiche, e' stato solo quello di Rossellini. Vale a dire che il modo di guardare le cose, non il metodo, e' la maniera neorealista. 
Lo dicevo per distinguere dalla storia inventata, la storia reale italiana ...  Io credo che uno possa fotografare solo il proprio cuore". 









Il resto dell'intervista di  Christian Defaye,  realizzata alla Tv,  in occasione de l'uscita nelle sale francesi de "L'Intervista" nel 1987, e' qui.  Codesto archivio digitale funziona come una mappa mentale. Le immagini quasi mai sono legate ai testi, per scelta. Ogni volta che trovate la parola "QUI" andate su un sito esterno, per un audio o un video, o qualche volta un iper-testo, Google permettendo (se trovaste link rotti siete pregati di segnalarglielo-celo, grazie).

Socrate


Quando ho fatto La Dolce Vita Rossellini mi ha guardato come Socrate avrebbe guardato Critone se il discepolo fosse improvvisamente impazzito.






(Tullio Kezich, Su
La dolce vita con Federico Fellini, cit., p. 170).

Questo archivio funziona come una mappa mentale, per associazioni libere, cercate da soli: le immagini solitamente non sono legate ai testi, mentre sempre i link esterni restano esterni, per rispetto della cultura digitale, che questo piccolo spazio testimonia; poi lasciate una traccia del vostro passaggio qui, se volete. 






Il megalomane Michelangelo


Non c'era Papa 

abbastanza grande 
per Michelangelo, 
non c'e' produttore 
abbastanza grande per Fellini, 
disse di lui Rossellini. Che forse lo odiava. 







Proteggete la conoscenza, condividete questo post, c'e' anche uno spazio vuoto per i pensieri o i sentimenti,  se quello che leggete vi riguarda, almeno, contribuirete al lavoro. Le immagini ed i testi per ragioni di stile non sono legate in questo archivio, che funziona invece come una mappa mentale, conoscete voi stessiFoto bellissima, omaggio a Morandi, dentro La Dolce Vita. 


Tutti a fischiettare


"Gli italiani hanno pochissimo il senso della storia. 
Hanno il senso del presente semmai. 
Quelli bravi. Il passato raccontato in Italia? 
Conosco un unico capolavoro che e’ Amarcord. 
Che non e’ però un film storico, è un film antropologico, quindi molto più importante dei film storici, perché parla dell’“italiano”. 
Era la tesi di Gobetti sulla continuità del fascismo, mentre Croce parlava di discontinuità. Invece no, il fascismo fa parte del dna della nazione e quel film te lo spiega benissimo. Infatti Fellini – con il quale negli ultimi anni eravamo molto amici e se ne  parlato spesso – mi diceva «ma io sono rimasto sbalordito perché pensavo che questo film potesse dar fastidio e invece tutti lì a fischiettare, a canticchiare». 
L’ipocrisia nazionale e il trasformismo come regola ... 
Sulla storia in generale forse  il Satyricon e’ il film più importante che io conosca.
Il Satyricon e’ un capolavoro, e anche Casanova. 
Molto più dei film di Visconti e tutti gli altri. Fellini ha questa preoccupazione di spiegare cosa c’è dentro, cosa c’è sotto, l’humus, il DNA, cosa siamo, da dove veniamo, dove andiamo, insomma quel groviglio lì. 
E il Satyricon è anche l’unico tentativo che io conosca di raccontare il mondo romano. Di romanzi qualcosa c’è ma  di film, che, I dieci comandamenti, Cleopatra, non so,  Giulio Cesare? Queste puttanate qua ... 
Gli Orazi e i Curiazi con Maciste  ...
Insomma, i film storici interessanti sono quelli che in qualche modo analizzano il presente come storia, coscientemente o incoscientemente. Perché poi ci sono anche quelli che lo fanno istintivamente senza ragionarci. 
Rossellini per esempio è uno che ci ragiona in quei quattro film …."



(Sintesi dei pensieri del critico, e in seguito conoscente di Fellini, almeno non nemico, che prima lo osteggio' e poi, ritratto': Goffredo Fofi, intervistato qui da Andrea Brazzoduro, che torna spesso, nella area della politica e della censura culturale delle sinistre, contro Fellini: la distinzione tra film storico e antropologico, e concordo e sia Satyricon che in Amarcord sembra quasi suggerire l'invenzione di un genere, cosa che non gli sarebbe piaciuta forse, essendo la sua visione ampia). In fondo a questa paginetta ci sta uno spazio vuoto, predisposto come un fumetto, per scrivere voi medesimi qualcosa: se lascerete un messaggio anche voi sarete passati da qui. La mappa che state usando funziona colle libere associazioni, conoscete leggendo, mentre in questa specie di archivio in movimento, le immagini ed i testi non hanno quasi mai relazione. Dove sta scritto QUI si clicca per ascoltare un audio o video. 

In un punto di vista


Mi ritrovai a mio agio nei film girati fuori, all'aria aperta. In questo Rossellini fu un iniziatore [...] la possibilità di camminare in equilibrio in mezzo alle condizioni piu' avverse, piu' contrastanti e nello stesso tempo la capacita' naturale, di volgere a proprio vantaggio queste avversità e questi contrasti, tramutarli in un sentimento, in valori emozionali, in un punto di vista. Questo faceva Rosselini: viva la vita di un film come un'avventura meravigliosa, da vivere e simultaneamente raccontare [ ...] il neorealismo non e' forse tutto questo?.


FF, 
Fare un Film, 
Einaudi, Torino, 1980. 






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Dissimili e vicini



Sul terreno della fama, sembra quasi una fatalità, Fellini e Antonioni si rincorrono da quasi mezzo secolo. 

E l'amichevole sfida continua anche al di là della morte: il 20 gennaio, giorno in cui avrebbe compiuto 75 anni, Federico è stato festeggiato con all'EUR della più grande mostra mai dedicata a un cineasta e con lo scoprimento di una lapide nella via Veneto da lui immortalata; ma Michelangelo (classe 1912, tuttora attivo sul set) gli ha prontamente rubato la prima pagina dei giornali con dell'assegnazione dell'Oscar alla carriera. 



Scartabellando in archivio ritrovo una mia doppia intervista del quando Fellini stava preparando La dolce vita e Antonioni L'avventura: 
"Sono i due registi più interessanti del momento, gli unici che hanno detto una parola nuova dopo le grandi prove della triade Rossellini De Sica Visconti: Antonioni nella dimensione di un rinnovato psicologismo borghese, Fellini in quella della fantasia picaresca. 


Antonioni si confessa intellettuale con una punta d'orgoglio, Fellini si dichiara un'ignoranza enorme' con una punta di civetteria. L'uno viene dalla critica cinematografica, l'altro dal 'Marc'Aurelio'; l'uno ha letto tutti i libri, l'altro pochissimi; l'uno segue la logica, l'altro l'istinto; l'uno ama i problemi, l'altro il racconto. Antonioni ha l'aria di mangiare poco, Fellini divora maccheroni al sugoNon sappiamo quanto siano amici, quanto possono andare d'accordo: certo è che si stimano molto, pur sentendosi diversi...". 

Nei decenni che seguirono le cose cambiarono un po' (Fellini,tanto per dirne una, prese a mangiare meno e a leggere di più), ma la competitività rimase; e fra i cinefili perdurò (e si potrebbe perdurò (e si potrebbe sostenere che dura ancora) la spartizione fra felliniani e antonioniani. 


Il bello è che il primo film firmato dal solo Fellini, Lo sceicco bianco, doveva farlo Antonioni e nasce da un soggetto di quest'ultimo: dell'incidente Michelangelo promise un giorno di raccontarmi "la vera storia", poi l'occasione saltò e forse il mistero resterà tale. Ricordo invece quello che mi disse il regista di L'avventura reduce nel '60 da Cannes, dove il suo capolavoro era stato dapprima accolto a fischi e poi entusiasticamente rivalutato fino a strappare uno dei premi minori; ma la giuria, presieduta da Simeon, aveva assegnato la Palma d'oro a La dolce vita"Ti assicuro che se il festival durava ancora una settimana - asserì sornione il neo premio Oscar - vincevo io". 




22 gennaio 1995, 
tratto da FELLINI DEL GIORNO DOPO, di Tullio Kezich, editore Guaraldi. Sull'anniversario che offre al cronista questa occasione di bella scrittura e riflessione, qualche tempo dopo, la stampa inglese torna con un articolo, dichiarando Antonioni, il genio dimenticato. QUI

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Once we where





Realism is a bad word. 
In a sense everything is realistic.
I see no line between the imaginery and the real












Nella foto tutti giovani e geni. In basso ci sta uno spazio vuoto, predisposto come un fumetto, per scrivere pensieri o sentimenti, oltre ai pulsanti per condividere questo post con chi vi sta simpatico: se lascerete un messaggio farete sapere che anche voi siete passati da qui. Proteggete il lavoro dei poeti, delle donne, condivide la conoscenza. 

E con questo?


Avanti c'e' posto! (commedia con Aldo Fabrizi) fu il primo film che sceneggio' col suo nome, e dove Fellini scopri' che l'ambiente, il set, era divertente, pieno di donne, adatto alla sua  natura,  secondo il giornalista e critico Tullio Kezich, un ruolo di pronto intervento, nella scrittura, tanto da diventare molto richiesto dal sistema nascente, insieme al talentuoso e sodale Tullio Pinelli. 

Un signore il quale ormai anziano in questo video racconta molto bene come si lavorava allora, come si scriveva, come si costruivano le storie, ed il lato avventuroso ed insieme realista del cinema.  



Qui si parla in maniera interessante del metodo sul campo, con un lavoro quasi giornalistico, prima, attraverso la voce di Pinelli, ma anche interessante e raro e' il reperto di Sergio Amidei, dove accenna  anche imbarazzato alle opinioni diverse sull'occupazione tedesca e sull'indifferenza (da molti percepita come nichilista, disimpegnata, ed a-politica) di Fellini, che poi divento' come il tratto caratteristico della critica contro di lui dell'epoca, una specie di equivoco che venne interamente spazzato via, o quasi, con l'Oscar per Amarcord, almeno dal punto di vista personale di Fellini. 

Il brano dura quasi 1/2 ora, ed include anche gli esordi, i colleghi, ed il lavoro di vignettista, l'odore di un'epoca, la rivista e il debutto grazie a Lattuada. 
Qui il film firmato da Zavattini, Avanti c'e' posto!, mirabile commedia, piena della grazia e del talento di Fabrizi. 

La luna caciotta

Rispondendo a Rossellini sulla morte del cinema artistico, a favore di un cinema didattico, 
Fellini alla Mostra del Cinema di Venezia del 1966:


[...] e' quello che sosteneva Stalin che impose al cinema sovietico una pedagogismo scolastico [...]. Le idee di Rossellini sono accettabili, se egli, in tutta sincerità', parla di se stesso e dice umilmente di volersi dedicare ad erigere film educativi, ma la sua non può essere una enunciazione che coinvolge tutto il cinema [...]. prendi le fotografie della Luna che pubblicano i giornali .. che ti sembrano? A me sembrano le superfici di una caciotta ... le prime fotografie valide della Luna saranno quelle di un cineasta che sapra' esprimervi un sentimento, non so, la nostalgia della terra, il senso angoscioso dell'enormità dello spazio. 




Funny Face Shop

  
"Nel periodo caotico che seguì la liberazione di Roma il cinema non produceva, i giornali non c'erano più, la radio era nelle mani degli alleati. Con alcuni amici del Marc'Aurelio aprimmo una  bottega della caricatura. Si chiamava "Funny Face Shop: profiles, portraits, caricatures". Facevamo ritratti, caricature e disegni per i soldati americani appena sbarcati a Roma. 

Avevamo inventato una serie di vignette, di situazioni tipiche: un soldato americano al Colosseo che uccideva un leone, oppure a Napoli su una barchetta che pescava una sirena, o mentre sorreggeva la torre di Pisa con una mano. 

Ogni situazione veniva riprodotta in cinquanta, cento esemplari dove la testina veniva sempre lasciata in bianco. Le vignette erano raccolte tutte insieme in un grande album che veniva mostrato ai soldati (...). Una sera il locale era molto affollato, c'era sempre un'atmosfera da saloon, e all'impovviso in mezzo a tante divise dei soldati, ho visto uno in borghese, la faccia pallidina, un mentino aguzzo. Era Rosselini. Lo avevo conosciuto appena prima della guerra, all'Aci Film, una società di produzione di Mussolini: fece segno che mi voleva parlare. Si avvicinò lentamente, e si mise alle mie spalle. Io stavo ritraendo un soldato cinese. Mi chiese se volevo collaborare alla sceneggiatura sulla vita di Don Morosini. Io ero molto occupato colla bottega della faccia buffa, inoltre il cinema allora mi pareva una cosa remota, a noi italiani: ora che stavano ritornando i film di Gary Cooper e chissà quante Harlow (...). 




Il film sulla vita, di Don Morosini era Roma città aperta. Sorpresa del neorealismo e risposta al western all'americana. 


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Quell'esperimento chiamato TV



"Questo occhio grigiastro spalancato sulla casa, l'occhio di un animale extraterrestre, mi ha sempre affascinato. Un giorno ho voluto provare e allora ho realizzato Block-notes per la tv americana e I clowns per la Rai". 

"Vidi la possibilità di un'esperienza nuova, ma giudico questa esperienza televisiva un errore, deludente e singolarmente mediocre: da una parte la televisione ti preclude di fare del cinema o perlomeno ne riduce notevolmente le possibilità sia espressive sia produttive di organizzazione; dall'altra ti si offre come un mezzo dai connotati e dalle finalità indistinti, esitanti, imprecisi, per cui l'esperimento non ha neanche la seduzione e l'interesse della novità, di una qualsiasi ricerca (...).


Aveva ragione Rossellini quando diceva che la tv ha una funzione didascalica. Ma per chi come me crede nell'espressione e non nell'informazione, la televisione pare che abbia limiti troppo imprigionati".



Fellini: La Tv è un animale extraterrestre, ne Il Resto del Carlino del 30 marzo 1978. La storia del rapporto tra un grande cineasta, nato nel 1920, e la televisione commerciale, torna molte volte e ancora ci riguarda. Celebre fu la sua battaglia contro gli spot dentro i film.  Tra le tag di questo piccolo archivio, pensato come una mappa mentale, e una brevissima storia dell'arte in Italia e del lavoro del poeta, trovate cercando: televisione, berlusconi, ginger e fred, educazione. Se lascerete un commento sotto, nello spazio vuoto predisposto, avrete arricchito questo lavoro.  








È malato di cuore lei?

  • Giornalista: La prima domanda sarebbe: che cosa vuole esprimere con questa sua nuova opera?
    Regista: Il mio intimo, profondo, arcaico cattolicesimo.
    Giornalista[tra sé, scrivendo su un taccuino] ...arcaico cattolicesimo. [rivolgendosi nuovamente al regista] E che cosa ne pensa della società italiana?
    Regista: Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d'Europa.
    Giornalista: Ah! E che ne pensa della morte?
    Regista: Come marxista è un fatto che non prendo in considerazione.
    Giornalista: Quarta ed ultima domanda: qual è la sua opinione sul nostro grande regista Federico Fellini?
    Regista: Egli danza... egli danza!
  • Regista: Lei non ha capito niente perché è un uomo medio. È così?
    Giornalista: Be', sì.
    Regista: Ma lei non sa cos'è un uomo medio? È un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, colonialista, razzista, schiavista, qualunquista. [il giornalista inizia a ridere mentre scrive] È malato di cuore lei?
    Giornalista: No, no, facendo le corna.
    Regista: Peccato perché se mi crepava qui davanti sarebbe stato un buon elemento per il lancio del film. Tanto lei non esiste... Il capitale non considera esistente la manodopera se non quando serve la produzione, e il produttore del mio film è anche il padrone del suo giornale. Addio!
  • Quando sarai nel regno dei cieli, ricordami al padre tuo. (Giovanni Stracci






Dialogo comico, pubblicato qui in forma di video in un altro luogo, e tratto da Ro.Go.Pa.G., film di fantascienza del 1963, film ad episodi di quattro registi internazionali, Pasolini, Rossellini, Gregoretti e Godard. L'elenco degli attori e comparse fa impressione, alcuni li elenco qui, con il link inglese dell'edizione internazionale: ,  , la Betti. Infatti Pier Paolo Pasolini per l'episodio de La ricotta venne condannato per vilipendio della religione e poi amnistiato; la pellicola tornò così sugli schermi con un nuovo titolo imposto. Fu scelto Laviamoci il cervello, un titolo che, ebbene, ormai, non ricorda nessuno e che non suonava bene, in italiano (let's have a brainwash era il titolo inglese). Della censura, o del brainwash, come avviene invece oggi, ad oltre 50 anni da questo celeberrimo episodio, nel paese piu' ignorante d'Europa, in una Europa pacificata ma ridotta nelle dimensioni di potere mondiale, e nel bel mezzo della globalizzazione e della desertificazione e della digitalizzazione, non ne parla quasi nessuno, non nel mondo delle arti almeno. Anche questo a 20 anni dalla morte di Fellini pare un fatto alquanto surreale. Nella fotografia il poster vintage. Questo archivio funziona per libere associazioni, cercate da soli, lasciate un messaggio, proteggete la conoscenza.