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Una mente lisergica



Non so molto di Castaneda.  Ma ho in archivio alcuni suoi libri, frutto appunto degli studi di Federico Fellini.  Tanto gli interessava che penso' perfino di fare un viaggio oceanico, lui che non aveva mai lasciato ne' Rimini, ne' Roma ne' lo Studio 5 di Cinecitta'. Fellini decise infatti di girare un film su Carlos Castaneda,  tratto da A scuola dallo stregone, libro del 1968  di culto per gli hippies, i new age, gli artisti, i seeker spirituali ed i curatori magici, allora e forse anche oggi. Volò in America insieme al giovane Andrea De Carlo, di cui aveva ammirato il romanzo Treno di panna, caldeggiato da Italo Calvino, e per questa ragione molto letto anche a casa mia, in compagnia di una bionda astrologa americana, e di Vincenzo Mollica. Il viaggio fu pieno di presagi, messaggi, telefonate, appuntamenti mancati, e fatti stranissimi, che alla fine angosciarono Fellini


La pubblicazione della storia di questo ennesimo film che non venne mai realizzato (ma trovate in forma di libro), avvenne solo in forma di tentativo, di risarcimento, di testimonianza, in 6 puntate nel maggio dell'86, a fumetti, illustrato da Milo Manara e mai ristampato.
 Andrea De Carlo  che ne fece un libro romanzo alla fine, racconta la sua versione dei fatti, in un documentario realizzato da Eugenio Cappuccio e Vincenzo Mollica, per la Rai e qui in un'intervista: "Purtroppo quel viaggio ha finito per guastare la nostra preziosa amicizia. Siamo rimasti entrambi imprigionati dall'orgoglio, incapaci di sbloccare la situazione. Ho ancora il rammarico di non avere compiuto il primo passo per venirne fuori" racconta, con rimpianto. Infatti la storia che Fellini non ebbe il modo di realizzare non si sapeva di chi era, e il fatto che De Carlo, pare chiedendo perfino permesso, la scrisse, concluse il loro rapporto. 

Il brano in cui Fellini racconto' la sua esperienza lo trovate invece sotto altre sembianze qui: 
"... i concetti di volume, colore, prospettiva, sono un modo d'intendersi con la realtà, una serie di simboli per definirla, una mappa, ed era proprio questo rapporto intellettuale che veniva a mancare. 
Come quella volta che per far contenti dei medici amici che stavano studiando gli effetti dell'LSD, accettai di fare da cavia e bevvi un mezzo bicchiere d'acqua dove dentro era stata lasciata cadere un'infinitesima parte di un milligrammo di acido lisergico. Anche quella volta la realtà degli oggetti, dei colori, della luce, non aveva più alcun senso conosciuto. 
Le cose erano se stesse, sprofondate in una grande pace luminosa e terrificante. In momenti come quello le cose non ti pesano; non vai a bagnare tutto con la tua persona, come un'ameba. 
Le cose diventano innocenti perchè togli di mezzo te stesso; una verginale esperienza, come il primo uomo può avere visto vallate, praterie, il mare. Un mondo immacolato che palpita di luce e di colori viventi col ritmo del tuo respiro; tu diventi tutte le cose, non sei più separato da loro, sei tu quella nube vertiginosamente alta nel mezzo del cielo, e anche l'azzurro del cielo sei tu, e il rosso dei gerani sul davanzale della finestra, e le foglie, e la trama fibrillante del tessuto di una tenda. 
E quello sgabello davanti a te che cos'è? Non sai più dare un nome a quelle linee, a quella sostanza, a quel disegno, che vibra ondulando nell'aria, ma non ti importa, sei felice così. Huxley ha mirabilmente descritto questo stato di coscienza provocato dall'Lsd: la simbologia dei significati perde senso, gli oggetti sono confortanti per la loro gratuità, per la loro assenza-presenza; è la beatitudine. 
Ma improvvisamente essere tagliato fuori dal ricordo della mediazione concettuale ti fa sprofondare in un abisso d'angoscia insostenibile; di colpo quella che un attimo prima era l'estasi ora è l'inferno. Forme mostruose senza senso nè scopo. Quella nube schifosa, quell'atroce cielo azzurro, quella trama oscenamente respirante, quello sgabello che non sai che cos'è, ti strangolano in un orrore senza fine."



A seguire qui ripubblico invece un  breve resoconto affine forse alla vicenda messicana, e di esperimenti lisergici di Fellini, tratto dalla Repubblica dell'epoca:


"Era o non era il mago di Rimini? Era o non era il più grande visionario del cinema italiano? 
Può allora sorprendere che un Federico Fellini quarantenne acconsentisse ' a farsi impasticcare di Lsd' dall' amico scienziato in vena di alchimie cerebrali?  Le agenzie di stampa, ieri pomeriggio, ne hanno enfatizzato la notizia. 
Era l' epoca della beat generation, Jack Kerouac aveva appena pubblicato in America On the road e lo scrittore Timothy Leary andava intonando peana liberatori sull' acido lisergico. Volle provarlo anche Fellini, sotto controllo medico. Parlò per sette ore di seguito e camminò su e giù per la stanza senza fermarsi mai. Emozioni, poche. Delusione, tanta. E non poteva essere altrimenti. 
Una pasticca d' acido per Fellini è come un caffé doppio per un ansiogeno. Perchè, dunque, dare tanto risalto all' evento, quando ne aveva già scritto lui stesso nel volume autobiografico Fare un film (Einaudi)? 
La risposta è in un libriccino dalla copertina gialla appena arrivato in libreria. S'intitola Imago. Appunti di un visionario (edizioni Semar), e porta la firma di Toni Maraini, scrittrice e storica d' arte (e sorella minore di Dacia). Il volumetto contiene una conversazione-intervista inedita con il regista. 
"Il contatto telefonico con Fellini non lo avrei mai avuto", racconta Toni Maraini, "se Alberto Moravia, con le sue maniere benevole e brusche, non avesse telefonato a Fellini per dirgli che mi conosceva da quando ero ragazzina, e che era sicuro che non lo avrei seccato con domande inutili". 
Era il marzo del 1990, una giornata fredda e ventosa. Bastò il nome di Krishnamurti per accendere la fantasia di Fellini. La magia, i poteri paranormali, le atmosfere sovrannaturali l' avevano sempre attratto. La sua affabulazione copriva argomenti di registro vario, elevandosi dal mago Rol, prodigioso fenomeno di parapsicologia, a Carl Gustav Jung, la sua stella polare, il maestro che più gli aveva insegnato "a recuperare tante energie sepolte sotto le macerie di timori, inconsapevolezze, ferite trascurate". 
La sintesi perfetta tra razionalità e fantasia, scienza e magia. Fellini tracimava lieve attraverso ricordi, sogni e profezie, e la Maraini registrava. 
Finché un giorno il regista le raccontò dell' amico scienziato che l' aveva persuaso, dopo aver girato Otto e mezzo, a sperimentare l' Lsd. Poi se ne pentì. La chiamò al telefono, e le chiese di cancellare la registrazione. 
Perché tanto pudore, tanta riservatezza?. "Temeva di non essere compreso", risponde oggi Toni Maraini. "Fellini era abitato da un' acuta, nostalgica, malinconica, scherzosa e sensuale curiosità per gli esseri e le cose. La tentazione dell' Lsd rientra in questo quadro. Ma in fondo non era stata un' esperienza significativa. Fellini aveva conservato pochi e incerti ricordi. In un certo senso, si trattò d' una rimozione, tant' è vero che non volle mai ascoltare la registrazione di quel che mi disse quel pomeriggio". 




Il disegnatore Milo Manara, che con Fellini ha collaborato in più lavori, suggerisce una diversa chiave: 
"Federico era rimasto deluso. L' allucinogeno non gli aveva certo dischiuso panorami nuovi e insospettabili. Il suo bagaglio immaginativo era tale che una pasticca d' acido poteva far poco. Una volta, scherzando, mi confessò che la sua vita emotiva ordinaria era assai più intensa". 
Per Manara si trattò di una storia grottesca: "L' iniziativa partì da un' équipe medica che voleva sondare le potenzialità espressive dell' acido in una mente immaginifica come quella di Fellini. Una sperimentazione che oggi può sembrare comica, ma allora era giustificata dai miti della beat generation"
Alla figura di Manara è legato l' altro episodio "rimosso" della vita di Fellini: Viaggio a Tulum, il misteriosissimo film ispirato dai racconti del leggendario ' antropologo stregone' Carlos Castaneda e mai realizzato (Viaggio a Tulum diventerà un fumetto firmato da Manara).  "Fellini", racconta Toni Maraini, "volle censurare tutti i dettagli bizzarri del viaggio da Los Angeles a Tulum, in Messico, dove era andato per girare il film tratto da Castaneda. 
Mi disse che c' erano troppi misteri: eventi inquietanti e minacciosi più che seducenti e meravigliosi. Fellini amava il meraviglioso e s' interessava di fatti paranormali, ma non di magia nera, ed era infastidito dai tenebrosi risvolti di tutta quella storia: biglietti che apparivano dal nulla, telefonate misteriose, parole sussurrate, apparizioni inattese di Castaneda il quale, alla fine, scomparirà nel nulla!". 
Disse una volta Fellini: "Quanto più l' enigma è indecifrabile, tanto più c'è l' obbligo di suggerire una spiegazione". 
Allora forse non ne fu capace, e il film non lo fece.



Oltre alla intervista della collega Simonetta Fiori, per La Repubblica, 1994, e della collega Marain, in questo post ho accumulato altre cose. Su Tulum e il non-incontro con Castaneda trovate un folle e personale documentario, "Fine Mai" di Vincenzo Mollica ed Eugenio Cappuccio, del 2019, molto bizzarro e sgangherato, dove questa vicenda viene per accenni ripresa. QUI il trailer.  
Accanto il fumetto di Manara. 
 

Tutte le altre immagini sono prese dal film Giulietta degli Spiriti in cui proprio i colori, e le scenografie trasmettono questo senso di materica magia del colore, e trasformano gli oggetti ed infondo hanno qualcosa di lisergico. Ne parla Fellini a lungo, e trovate cercando (colore, Giulietta, surreale, angoscia, Fellini non ama viaggiare, per esempio) nella colonna di parole-chiave di questo archivio, che serve a fare libere associazioni, come foste dentro una mappa mentale. Scrivete un messaggio o condividete il post. I link sono esterni, invece, le fonti citate, rispettatele, le foto spesso della curatrice. Grazie. 



In un punto di vista


Mi ritrovai a mio agio nei film girati fuori, all'aria aperta. In questo Rossellini fu un iniziatore [...] la possibilità di camminare in equilibrio in mezzo alle condizioni piu' avverse, piu' contrastanti e nello stesso tempo la capacita' naturale, di volgere a proprio vantaggio queste avversità e questi contrasti, tramutarli in un sentimento, in valori emozionali, in un punto di vista. Questo faceva Rosselini: viva la vita di un film come un'avventura meravigliosa, da vivere e simultaneamente raccontare [ ...] il neorealismo non e' forse tutto questo?.


FF, 
Fare un Film, 
Einaudi, Torino, 1980. 






In basso ci sta uno spazio vuoto, predisposto come un fumetto, per scrivere pensieri o sentimenti, oltre ai pulsanti per condividere questo post con chi vi sta simpatico: se lascerete un messaggio farete sapere che anche voi siete passati da qui. Proteggete il lavoro dei poeti, delle donne, condivide la conoscenza. 



Chaplin for ever


used this genius song by  

to underscore a scene in in

Here his most loved movies of all time:



  1. The Circus/City Lights/Monsieur Verdoux (1928,31,47, Charles Chaplin)

  2. Any Marx Brothers or Laurel and Hardy
  3. Stagecoach (1939, John Ford)
  4. Rashomon (1950, Akira Kurosawa)
  5. The Discreet Charm of the Bourgeoisie (1972, Luis Bunuel)
  6. 2001: A Space Odyssey (1968, Stanley Kubrick)
  7. Paisan (1946, Roberto Rossellini)
  8. The Birds (1963, Alfred Hitchcock)
  9. Wild Strawberries (1957, Ingmar Bergman)
  10. 8 1/2 (1963, Federico Fellini)



In fondo a questa paginetta ci sta uno spazio vuoto, predisposto come un fumetto, per scrivere voi medesimi qualcosa: se lascerete un messaggio anche voi sarete passati da qui. La mappa che state usando funziona colle libere associazioni, conoscete leggendo, mentre in questa specie di archivio in movimento, le immagini ed i testi non hanno quasi mai relazione. Dove vedete scritto "QUI" si deve cliccare per ascoltare un audio o video.

L'inconoscibile passato



L'idea di fare un film su la paganita', come Satyricondi studiare cosa poteva essere un uomo prima dell'avvento del cristianesimo, di disegnare la psicologia di un essere privo di prospettive sul significato della sua vita, e delle sue azioni, mi stimola 
molto. Petronio poi, anche a scuola, mi aveva affascinato  per la questione dei frammenti, che per forza di inducono  a riempire le parti mancanti [...] 


Brano tratto da Il Popolo, intervista del 1968. Le immagini da Satyricon. Infondo al post trovate un piccolo spazio bianco da riempire con un pensiero, un'emozione, se vorrete, e anche per condividere la conoscenza, e proteggere questo lavoro. Grazie. 




Laboratorio Number Five





«Il ricordo è già una alterazione della realtà, una visione mediata di ciò che è veramente accaduto. Raccontare episodi, personaggi, incontri, avvenimenti, passioni filtrati dalla memoria significa esprimere qualcosa che, per essere 
in qualche modo fedele alle emozioni e ai sentimenti che ha suscitato, deve necessariamente essere arricchita di suoni, luci, colori, atmosfere, suggestioni, che possono essere ricreati soltanto in quel laboratorio magico, alchemico, demiurgico che per un cineasta è il teatro di posa. Nel Teatro n. 5 di Cinecittà io ho ricreato tutto»


«La luce è ideologia, sentimento, colore, tono, profondità, atmosfera, racconto. 
La luce fa miracoli, aggiunge, cancella, riduce, arricchisce, sfuma, sottolinea, allude, fa diventare credibile e accettabile il fantastico, il sogno e, al contrario, può suggerire trasparenze, vibrazioni, dà miraggio alla realtà più grigia, quotidiana […] il film si scrive con la luce, lo stile si esprime con la luce».






 Infondo al post trovate un piccolo spazio bianco da riempire con un pensiero, un'emozione, se vorrete, e anche tutti gli artifici per condividere la conoscenza, e  in qualche modo essere gentili e proteggere questo lavoro. Grazie. 

Con quel foglio colorato


«Il mio amore per il fumetto si perde nella notte dei tempi È stato il primo contatto con un mondo immaginato che si esprimeva con le matite, con le penne, con i colori, qualche cosa che non aveva a che fare con la scuola, con la chiesa, con la famiglia. Mi ricordo che una data festosa della settimana era proprio la domenica, quando papà, tornando dalla stazione dove c’era l’edicola più fornita di Rimini, ci portava il Corriere dei Piccoli. Anche i personaggi di quel foglio colorato non avevano niente a che fare con il mondo che ci circondava: con la cameriera che stava in casa, col nonno malato, col vicino. Però erano altrettanto veri del bidello o dell’arciprete. Tanto che, alle persone reali poi, affibbiavamo proprio i soprannomi di quei personaggi. Cosi l’arciprete diventava Padron Ciccio, quello che aveva una mula cattivissima, la Checca, che stampava i ferri da cavallo nel sedere di chi scalciava. Oppure il vicino di casa, che mia mamma sapendolo un po’ scapestrato, tiratardi e qualche volta un po’ alticcio, aveva chiamato Arcibaldo, come il personaggio creato da Geo McManus. Lui si arrabbiava molto e noi ragazzini gli correvamo appresso per sfotterlo gridandogli «Arcibaldo, Arcibaldo!»




Brano da un’intervista di Renato Pallavicini a Federico Fellini uscita su l’Unità, il 26 luglio 1992, l'illustrazione e' di Eva Montanari. L'altra immagine e' tratta dal Grand Hotel, di Amarcord. 
Questo archivio funziona come una mappa mentale, cercate da soli, nelle tag alla vostra destra, che nascono come un percorso semantico e psicologico. Le immagini che vedete sono spesso della curatrice, i link sono esterni. Se trovate cose imprecise o che non funzionano scrivete. 

Le forze terribili ci abitano




“Ciò che fa Gustavo Rol è talmente 
meraviglioso che diventa normale; insomma, c’è un limite allo stupore. Infatti le cose che  fa, lui li chiama giochi, nel momento in cui le vedi per  tua fortuna non ti stupiscono, ma nel ricordo assumono una dimensione sconvolgente. Com’è Rol? A chi assomiglia? Che aspetto ha? 
È un po’ arduo descriverlo. Ho visto un signore dai modi cortesi, l’eleganza sobria, potrebbe essere un preside di ginnasio di provincia, di quelli che qualche volta sanno anche scherzare con gli allievi, e fingono piacevolmente di interessarsi ad argomenti quasi frivoli. Ha un comportamento garbato, impostato ad una civile discrezione, contraddetta talvolta da allegrezze più abbandonate, e allora parla con una forte venatura dialettale che esagera volutamente, come “Macario”, e racconta volentieri barzellette. 
Credo che la ragione di questo comportamento sia nella sua costante e previdente preoccupazione di sdrammatizzare le attese, i timori, lo sgomento che si possono provare davanti ai suoi traumatizzanti prodigi di mago


Ma, nonostante tutta questa atmosfera di familiarità, di scherzo tra amici, nonostante questo suo sminuire, ignorare, buttarla sul ridere per far dimenticare e dimenticare lui per primo tutto ciò che sta accadendo, i suoi occhi, gli occhi di Rol non si possono guardare a lungo. Son occhi fermi e luminosi, gli occhi di una creatura che viene da un altro pianeta,gli occhi di un personaggio di un bel film di fantascienza. Quando si fanno “giochi” come i suoi, la tentazione dell’orgoglio, di una certa misteriosa onnipotenza, deve essere fortissima. Eppure Rol sa respingerla, si ridimensiona quotidianamente in una misura umana accettabile.  Forse perché ha fede e crede in Dio.  I suoi tentativi spesso disperati di stabilire un rapporto individuale  con le forze terribili che lo abitano, di cercare di definire una qualche costruzione concettuale, ideologica, religiosa, che gli consenta di addomesticare in un parziale, tollerabile armistizio la tempestosa notte magnetica che lo invade, scontornando e cancellando le delimitazioni della sua personalità, hanno qualcosa di patetico ed eroico”.


Qui il "suo" (cosiddetto) testamento audio, conservato dal fratello: qui invece qualche notizia sulla sua vita per chi proprio non ne avesse mai sentito parlare. Su questo argomento troverete qualche altro brano e video, cercando il nome di Rol, magia, Torino, qualche volta anche calabrone, e lascio che lo scopriate da voi. 


Questo archivio nasce come strumento di ricerca ed a disposizione gratuita di tutti: se lascerete un messaggio farete sapere che siete passati da qui, e condividerete la conoscenza, in qualche modo gentile. In particolare se lo avete usato nel vostro lavoro, citate le fonti, mantenete la distanza. Le immagini sono spesso della curatrice, o altrimenti abbinate senza alcun legame di senso o semantico con i testi, per questione di stile. 




Ma gli alberi hanno paura?


"A volte mi capita di ascoltare tra l'incantato e l'incitrullito certe interpretazioni dei film fatte da prospettive che mi sono del tutto estranee. Subisco le definizioni, le accetto. Ad esempio il barocchismo, il contorto, il labirintico ... sono definizioni surrealiste, pertinenti, ma ecco, le subisco, io diffido molto di quello che diventa filosofico o spiritualista. Quando mi parlano dei miei film come tentativi di rappresentare la vita resto lusingato ma anche diffidente. 


Vedendo le mie cose dall'intero, come faccio sempre, non avevo mai pensato che da fuori potessero essere viste così.

Tutte le volte che vengo invitato a guardare da un punto di vista esterno quello che faccio, c'e' qualcosa dentro di me, che per timidezza, per inadeguatezza, per incompetenza, si ribella, fugge via. Posso rispondere soltanto se mi si domanda: come hai fatto ad esprimere quel sentimento di paura in un albero?".



in Virgilio Fantuzzi. 
Il vero Fellini, Ave editrice

pagina 172


La forza nel sinistro





“Una settimana prima di iniziare il film, ho sognato che qualcuno mi cavava l’occhio destro con un cucchiaio. Non soffrii, ero sorpreso. Forse il sogno voleva dire che per questo film non mi serviva l’occhio destro, quello della realtà, ma solo il sinistro, quello della Fantasia.” 



Federico Fellini, 
Immagine da "GIULIETTA DEGLI SPIRITI" (1965), film sottovalutato, ma invece positivo e visionario, dove la fantasia, la fuga, salva la donna, dalla pazzia e dalla solitaria prigione esistenziale in cui viene relegata. 

Questo archivio funziona come una mappa mentale, cercate da soli. Lasciate alla fine della paginetta un segno del vostro passaggio. Grazie.

Ci sono i colori quando nessuno li guarda?





«Chi sogna può vedere un prato rosso, un cavallo verde, un cielo giallo e non sono assurdità. Sono immagini intrise del sentimento che le ispira. Così' {...} il regista di un film a colori è come uno scrittore che dopo aver scritto “la stanza era verde” va in tipografia e si accorge sulle bozze che la stanza è diventata “grigiastra”».



 (FF, 95). 







Giulietta ed i fantasmi


Ma soprattutto in Giulietta degli spiriti che è un film liberty floreale, dove tutti gli oggetti esprimono una certa visione nevrotica della realtà soggettivata, dove l'oggetto è tutto soggettivato, dove i paralumi diventano delle serpi o dei pappagalli e tutto l'arredamento liberty tende ad una antropo-formorfizzazione a sfondo sessuale: il ricordo di Rubino, di un mondo stregato, di una narrazione ridotta a calligrafia che si traduce in una serie di simboli e segni che corrispondono a una visione geroglifica inesorabile, dove tutto deve restare sospeso e immobilizzato, ha sicuramente pesato, attraverso la scenografia, il costume, la trasformazione antropomorfica delle cose, per rendere più evidente come le turbe nevrotiche della protagonista fossero talmente schiaccianti da bagnare di se stesse tutta la realtà che le circondava. 

Ecco quindi allora l'immobilità stilizzata da vetrata di chiesa, la visione di fantasmi fermati dal flash al magnesio.


QUI il trailer dell'epoca, e ce ne sono altri in questo archivio. 
Qui funziona come una mappa mentale, usando le libere associazioni che trovate nella colonnina alla destra del vostro schermo. Sapere che siete passati da qui, condividendo un post o lasciando nello spazio bianco infondo a questa paginetta, arricchisce il lavoro.

Vedere i suoni, sentire i colori


 

«C’è stato un periodo della mia infanzia - spiega in un’intervista - in cui all’improvviso visualizzavo il corrispondente cromatico dei suoni. Un bue muggiva nella stalla della mia nonna, e io vedevo un enorme tappetone bruno-rossastro che fluttuava a mezz’aria davanti a me. Si avvicinava, si stringeva, diventava una striscia sottile che andava ad infilarsi nel mio orecchio destro. Tre rintocchi del campanile? Ecco tre dischi d’argento staccarsi lassù all’interno della campana e raggiungere fibrillanti le mie sopracciglia sparendo all’interno della testa. Potrei continuare un’oretta buona, basta credermi». 




QUALCHE DETTAGLIO PRATICO:   
Vedrete che ho trascurato quasi interamente pettegolezzi, e letture agiografiche e tutta quella narrativa marketing o delle fazioni della battaglia politica, a meno che non potesse essere utile a fare un ritratto dell'epoca, inoltre ho dato molto spazio alle cose minori, silenziose, come ad esempio Nino Rota, senza la cui presenza l'arte di Fellini non sarebbe universalmente nota e riconoscibile, per il suo suono,  come e'. 
Dove ho potuto ho citato la fonte. Le immagini non sono mai o quasi mai legate ai testi, per motivi di stile e per le stesse ragioni invece quando uscite dal sito dovete ritornarvi da voi. Qualche volta i brani sono in in lingua originale, soprattuto documenti e recensioni, e lo indico sempre. Le pochissime cose oltre a questa che ho scritto io medesima, e non sono pensieri di Fellini, o di interesse sulla sua storia nella storia culturale del paese o sulla sua poetica, di solito di altri artisti o suo cari amici, viene indicato anche nelle tag, come "la nana di fellini". 
Su Twitter, Pinterest e Facebook nel tempo, per motivi diversi, ho creato delle piccole vetrine, in inglese anche,  di questo progetto, che spero possa scuotere soprattutto il mondo della cultura e delle arti, e ispirarci. Siate gentili. 


Qui un marcetta "di Carlotta", composta pare, dal vero Maestro Rota.










L'aiuto dello scherzo


Il fumetto ha rappresentato nella psicologia e nell’immaginazione di intere generazioni il contatto con la fantasia, il sorriso, l’allegria. Ma anche un aiuto, un conforto a quel tanto di obbligato che rendeva la vita di noi ragazzetti, piuttosto pesante, mal digeribile: la scuola, la palestra, le processioni, la messa alla domenica. Quindi una funzione straordinaria non solo per la formazione della fantasia, ma anche un aiuto psicologico come potevano darlo la letteratura, la poesia o l’arte. Il fumetto, tradotto nella dimensione dell’infanzia ha avuto il merito, dunque, di irrobustire l’immaginazione e di favorire un dicorso critico verso gli adulti con l’aiuto dello scherzo e dell’ironia






QUALCHE DETTAGLIO PRATICO PER ANDARE AVANTI:   
Vedrete che ho trascurato quasi interamente pettegolezzi, e letture agiografiche e tutta quella narrativa marketing o delle fazioni della battaglia politica, a meno che non potesse essere utile a fare un ritratto dell'epoca, inoltre ho dato molto spazio alle cose minori, silenziose, come ad esempio Nino Rota, senza la cui presenza l'arte di Fellini non sarebbe universalmente nota e riconoscibile, per il suo suono,  come e'. 
Dove ho potuto ho citato la fonte. Le immagini non sono mai o quasi mai legate ai testi, per motivi di stile e per le stesse ragioni invece quando uscite dal sito dovete ritornarvi da voi. Qualche volta i brani sono in in lingua originale, soprattuto documenti e recensioni, e lo indico sempre. Le pochissime cose oltre a questa che ho scritto io medesima, e non sono pensieri di Fellini, o di interesse sulla sua storia nella storia culturale del paese o sulla sua poetica, di solito di altri artisti o suo cari amici, viene indicato anche nelle tag, come "la nana di fellini". 
Su Twitter, Pinterest e Facebook nel tempo, per motivi diversi, ho creato delle piccole vetrine, in inglese anche,  di questo progetto, che spero possa scuotere soprattutto il mondo della cultura e delle arti, e ispirarci. Siate gentili. 


Qui un marcetta "di Carlotta", composta pare, dal vero Maestro Rota.




Il prato che non fu mai verde




I colori naturali impoveriscono la fantasia.




Questo archivio funziona come una mappa mentale, per associazioni libere, cercate da soli: le immagini solitamente non sono legate ai testi, mentre sempre i link esterni restano esterni, per rispetto della cultura digitale, che questo piccolo spazio testimonia; poi lasciate una traccia del vostro passaggio qui, se volete. 





Il presepe universale di Charlot


Il giorno di Natale del 1977 scompare l’uomo che ha creato il personaggio più amato del mondo. “Cusì te se’ ndat anca ti Sarlòt”, scrive Andrea Zanzotto che immagina di vederlo scivolare via leggero verso un punto lontano con la sua inconfondibile andatura. Proprio quando sta per essere assunto in cielo, al poeta viene il dubbio che il Vagabondo abbia escogitato un’altra delle sue burle, nascondendosi come fanno i bambini e prendendosi gioco persino della morte ...

Charlot mi è apparso tra i panettoni, le stelle comete, la neve, Papà Natale, cioè una figura che già nel suo apparire apparteneva a qualche cosa di mitico, di eterno qualche cosa di ghiotto, di goloso, un omino al quale dover gratitudine. Io poi, con l’attrazione per il circo e per i clown, certo come Pinocchio quando incontra i burattini, me lo sarei abbracciato”.

"Per quelli della mia generazione Chaplin é un argomento sconfinato. Charlot si é collocato, e tuttora abita, quella parte della vita che é l'infanzia, la prima adolescenza, stagione che non finisce più e che ci portiamo -  con la memoria -  sempre con noi: quindi parlare di questo piccolo omino che appariva durante le feste di Natale, nel mio paese  arrivavano sotto le feste é una cosa molto speciale, perché le sue immagini si rivestivano come dell'atmosfera di un dono: come la bicicletta, il primo libro, Pinocchio, l'albero di Natale, il presepe, e si confonde Charlot in questa atmosfera festosa". 


"In un'epoca di miti guerriere, tutta riverberata dalla romanità, divise, celebrazioni, pugnali, tutti noi volevamo essere come lui: va gabondare per il mondo con quella grazia, quella leggerezza, quella impudenza, quella libertà di un gatto, vagabondare per il mondo, per quel grande immenso paese che era l'America, che nessuno come lui ha raccontato con tanto realismo poetico e grande esattezza". 


E proprio Il circo (1928) è il film che Fellini dichiara di amare di più perché contiene “tutto il mondo di Chaplin, tutte le sue ambiguità, risolte però nella vera poesia; gli sembra che si liberi da tutto il chaplinismo, il vagabondo e la poetica del vagabondo, e la polemica sociale, per rimanere soltanto un piccolo gioiello di autentica poesia cinematografica”

"Luci della città è il mio film preferito, è struggente, ed è un film che non morirà mai. Penso che il cinema, specialmente il primo cinema muto, quello delle comiche di Chaplin, Harry Langdon. Buster Keaton, Fatty, Max Linder, Ben Turpin debba molto ai fumetti. Penso a certe tavole di Krazy Kat di Harriman. In fondo quei primi film sono dei fumetti animati, e tutto si richiama alla tecnica del fumetto: dalle prospettive, al taglio dell’inquadratura, quel taglio particolare che si ferma alla caviglia e che prese il nome di “piano americano”".



Charlie Chaplin's Scandalous Life and Boundless Artistry ...“Mi è sempre rimasta l’impressione che non fosse vero l’aspetto pietistico, non fosse vero il sentimento di commozione che ispirava, perché in effetti questo vagabondo era felice, era felice come un animale, come un gatto mi sembrava che avesse anche proprio la salute, l’agilità, qualche cosa di graffiante e anche l’inavvicinabilità.”


 "Quando ho scoperto il cinema, qualche anno più tardi, scoprii che le comiche mute erano la continuazione delle strips che leggevo sul Corriere dei Piccoli
. Sì, posso dire che quella è stata la cultura di cui mi sono nutrito e che il mio cinema non nasce dal cinema". 



"Se ho dei debiti di gratitudine o deve riconoscere delle matrici, le identificherei proprio nelle strisce americane. In alcuni miei film, non i pri
mi, ho tenuto presente lo stile, l’atmosfera, la dinamica bloccata nella rigidità, tipici del fumetto.  Amarcord, per esempio, non è solo un omaggio all’infanzia, ma anche al mondo dei fumetti: è un film stilizzato, con inquadrature fisse, pochi movimenti di macchina".



Proteggete la conoscenza, condividete questo post, con chi amate preferibilmente, i pulsanti sono in basso, e se lascerete un messaggio farete sapere che anche voi siete passati da qui.