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Mantieni sempre l'innocenza



Questo archivio nasce per motivi personali, come tutte le cose. 


Ho conosciuto Fellini che ero una bambina, sul set del film di Roma, dove di notte mi portarono, mentre girava al Colosseo. Ero appena nata, e mia mamma e mia zia si presero una sgridata nel cuore della notte, da Fellini, ed io una benedizione davanti al set, appesa su una gru. 

Lo ho frequentato sempre e solo che ero bambina. Il che e' stata una fortuna. Mi chiamava la nana, tutti ridevano, io non capivo, ma amava usare i vezzeggiativi, testona, occhiona, diceva: e forse mi considerava adulta, come solo i bambini sanno esserlo, e questo lo si vede dal disegno che pubblico qui, non senza imbarazzo, ed anche questo si vede mi pare. 

Questo fu il nostro rapporto, un rapporto tra pari, ovvero tra bambini, e questo fatto mi fu sempre chiaro, ma di piu' quando ricevevo i regali al compleanno o di Natale. Regali di creature che si intendono, appunto i bambini. 
Fellini come tanti artisti, e pochi puri di cuore, aveva conservato tutta o in parte, ma certamente se una parte una parte intatta, l'infanzia, dentro. 
Ed e' una cosa rara. 

L'analisi lo aiuto' anche a discernere il passato, e tenere quello che gli serviva. 

Per una storia familiare, che comincia con mia nonna, da piccola venivo portata a fare la comparsa nei suoi film (i Clown, La citta' delle Donne, Casanova, etc) per divertimento: io non la amavo tanto, ma intuivo che non potevo dir nulla di questo, e non dissi nulla per anni. 

Mi divertivano poche cose confesso: i vestiti ed andare a pranzo con Fellini, e non il set, ma trovavo magica la sbarra che si alzava all'ingresso di Cinecitta', e i portieri che ci salutavano, tutti fumavano sempre e avevano il cappello come i ferrovieri.
 Ora non lo hanno nemmeno i ferrovieri. 

Amavo stare in macchina con mia zia, e lei amava guidare, fischiettando girava il volante a destra, a sinistra, una rotonda, dove ora hanno messo la Polena di Casanova, e poi dentro questo luogo che non era la citta', non era chiaro cosa fosse, un grande vuoto pieno di gente ovunque, vestita in ogni modo, che entrava ed usciva da stanzoni, casermoni, stradoni, noto come lo Studio Cinque. 

Non amavo di questa citta' c dove mi pareva di stare come dentro quelle pagine colorate di Scarry, che c'era tutta questa gente, e si stava scomodi, e gente non solo sconosciuta ma anche agitata, e molti gridavano, alcuni parevano, come Mein, che sarebbero morti sul colpo a forza di arrabbiarsi e gridare: venite qui, portate questo, spostate quello, allora, forza, ancora, e allora, ma basta, no, no, che palle! 
Molti bivaccavano, pochi erano operosi, si stava un poco tra i flutti, come su una nave quando balla forte il mare. Non proprio piacevole. 

Alla fine mi annoiavo, ma non osavo dir nulla,  intuivo che coloro che avevo intorno trovessero il "cinema",  come una cosa ultraterrena, e non sia mai che ti annoia l'ultraterreno.
Solo a quindici anni presi coraggio e dissi che non ero interessata, e venni esentata. 
Sono cresciuta sentendo parlare di cinema a cena, dopo cena, fino a notte tarda, sempre, e anche in questo caso si urlava, litigate, anche sbattimenti di porte, e 
questo prima della televisione, e per questa ragione, anche, dopo, me ne disinteressai, del cinema, se non come spettatrice.  
Come hanno raccontato tanti era veggente, su questo non ho che prove personali. 
Mi interessava Fellini, senza un nome o un cognome, cosi' veniva chiamato. Amavo il suo tavolo pieno di barattoli di pennarelli colorati, il suo loden spesso, verdone, che sapeva di zuppo, di scomodo anche quello, e mi piaceva che anche a lui amava andare in macchina con mia zia, anche lui guardava fuori dal finestrino come me, come si fosse in barca. 

Mia zia guidava anche come si fosse in barca, ma un barchino a vela, ed anche lui amava mia zia, anche lui rideva che lei fischiettava. Mi piaceva che era geloso dei colori, dei fogli, dei pennelli, che me li prestava con cautela e solo per fare amicizia, guardandomi come dire sta attenta eh, esattamente come si fa tra bambini, ed amavo che quando mi parlava mi guardava, e mi ascoltava, e faceva domande, Fellini faceva un sacco di domande a tutti, e guardare, ascoltare, gli adulti non lo fanno mai. 
Di queste domande ai bambini parla anche qui, in prima persona.

Mi ricordo quando venne a cena colla Masina e mia madre compero' una tovaglia di lino grigia, che per sempre venne chiamata la tovaglia Masina, e mai piu' usata, o quando mi porto' a vedere il circo Orfei, e ricordo cose del set viste all'altezza di 90 cm, e il giardino spaventosissimo della loro casa a Fregene, che poi ha mostrato in Giulietta degli Spiriti, e lo spazio fisico che occupava, e lo spazio fisico che occupava non si ricorda di tutti, e le conversazioni al ristorante, pieni di sugo, tovaglie gialline, camerieri che faceva ridere, cucchiai dentro brodini, sguardi, occhioni. 

E poi ricordo bene il suo funerale. 

Per coloro che lo avevano conosciuto fu una cosa memorabile, dolente e certamente angelica. 
Un silenzioso passaggio, tutto il giorno, tutta la notte, di migliaia di persone in punta di piedi, che erano venute col cuore gonfio di sgomento, tristezza, ognuno per un motivo personale, tutte un poco smarrite, a salutare un'animona, fin giu' a Cinecitta', come se la vita gli avesse rubato qualcosa: e stavano in silenzio, ad ascoltare la tromba che suonava, un suono invisibile, nel vuoto del cielo azzurro;  forse fu solo allora che mi accorsi che il mio amico di infanzia era amico di tanta gente, ma non sapevo ne' come ne' perche', ma forse non me ne accorsi, non era importante, e dovette passare ancora molto tempo perche' una intesa silenziosa, un dono della vita, diventasse, piu' banalmente, una serie di domande ed una piccola storia. 

Solo da grande ho capito davvero come mai mi chiamava la nana: e altre cose della vita, che lui sapeva gia'. 

Con lui ho fatto tante cose, alcune me le ricordo altre no.  Ho letto, ora, da adulta, che diceva di mantenere sempre l'innocenza della propria infanzia, che è la cosa piu' importante, e non è una sorpresa per me.


Questo archivio nasce per dei motivi personali, come tutte le cose. 




Il pozzo degli archivi






Edoardo Camurri si infila negli archivi della Rai, a venti anni dalla morte di Federico Fellini, ma quando lo chiamiamo per parlargli degli inediti che la mia famiglia vorrebbe fargli vedere, si defila. 

Strano ragazzo. 

Qui per RaiSTORIA recupera brani, stralci di Fellini. 
Se non fosse un brand fuori dal paese, se ne sarebbero gia' liberati. Dicono sia come Caravaggio, che sia in Purgatorio, non ho idea. E noi?

Qui trovate puntatona Rai.


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I miracolosi legamenti


Sono stato in collegio a Fano come la maggior parte dei ragazzini della mia generazione, tra gli otto ed i quattordici anni diventava una stagione inevtabile: erano antichi sacerdoti, tenuto dai monaci che si chiamavano i carissimi, avevano quel collarino che misi poi ad Anita nella scena della Dolce Vita. 



Si metteva allora in collegio qualcuno che doveva essere educato, cambiato, e quindi gia' l'ingresso era qualcosa che ricordava un pochino il carcere; e l'educazione era l'educazione che moltissimi in Italia hanno avuto, una educazione castrante, mutilante, a carattere repressivo, dove il bambino era folle, pericoloso, qualcosa di malato, su cui intervenire pesantemente con codici, fatti educativi, terapeutici e mutilanti, quindi una diseducazione, adesso lo ho detto in tutti i miei film, di questi aspetti abberranti, di questo tipo di educazione che tentava di staccarti dalla vita e proiettava sulla vita tutta una serie di visioni deformanti, insomma una alterazione, che metteva il bambino fuori dalla vita. Cose che colla vita non avevano niente a che fare. 

Questo e' un tema ricorrente dei mie film, di questo tradimento fatto alla vita da questo tipo di educazione. Pero' con gli anni mi subentra una specie di visione diversa, non rinnego la polemica, voglio dire pero' che anche questo tipo di educazione mi ha nutrito all'incontrario, provocando delle forme reattive di difesa, ed ora non vorrei parere reazionari, ma anche i condizionamenti a modo loro sono stati utili, utili ovvio per chi puo' con la cultura o la vita stessa, di affrancarsi da questi condizionamenti e vederli da un punto di vista diverso, una operazione che non e' possibile per tutti quanti, ma io almeno ho ammorbidito  questo atteggiamento.

Ma penso comunque in tutta sincerita' di educare il bambino a guardare alla vita coi suoi occhi, e non con delle lenti che della vita danno una visione distorta, insomma bisognerebbe compiere un miracolo di formare dei maestri, ma chi li forma i maestri, che possano far sviluppare questo miracolo, che e' l'uomo bambino, senza tagliare e sopprimere i suoi legamenti misteriosi colla natura, con le dimensioni da cui viene, e proviene, farlo crescere radialmente, sfericamente, in tutte le direzioni. 
Invece sono state create persone nevrotiche, intere generazioni di gente che e' finita al cimitero o al manicomio, di gente deforme, gobbi, nani. 


8/5/77, Madrid. Intervista TV con J. Serrano
Il resto qui.

 



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Sussidiario Hikikomori




In dieci minuti inaspettatamente, sotto altre spoglie, trovate un questo video-clip pedagogico e giovanile (con quella traboccante ed inquietante estetica Hikikomori) che riassumme quello che un ottimo sussidiario potrebbe oggi dire del cinema di Federico Fellini, compresi alcuni fatti meno banali, e taciuti, come i suoi nemici, le facce, il doppiaggio, il colore, Beppe Grillo, Berlusconi


Bravi autori, troppo veloce il parlato, forse (ma creaturina tu perche' BarbieXanax ti si deve chiamare?): tenetevi forte, ecco qui il video.




Il finalino de l'Intervista citato nel link precedente si trova qui.  "Bisognerebbe riuscire a raccontare la luce - diceva a voce alta, tanto per suggerir qualcosa, un poco mentendo - che cosa sia la luce un regista sa benissimo. A quel raggio di speranza credeva e non credeva, ma forse non gli pareva poi tanto piu' importante della vita stessa, che ci pare invece fosse quella marcetta per lui, la sfilata clownesca tante volte richiamata per immagini, silenzi, dubbi e ritmo, e senza un vero finale. "Proviamo" diceva.