Visualizzazione post con etichetta magia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta magia. Mostra tutti i post

Eravamo maghi bambini


Cosa avete fatto per davvero?
 "Quello di fare qualche cosa di poetico che possa tener compagnia alla gente. Lui diceva che eravamo maghi bambini".
Cosa le manca di Fellini?
"Vede, tanto si dice che manca sempre tutto, perché è una grande amicizia e poi è questa montagna di memoria, questi continui suggerimenti di vivere camminando un po' sollevati da terra, i nostri colloqui nel suo studio, dove lui amava restare, non era un amante dei viaggi, perché diceva "i viaggi li facciamo con la memoria", era stupendo sentir parlare dei suoi viaggi verso l'infanzia e dei suoi viaggi verso paesi che non aveva mai visto e che aveva l'impressione di vedere stando fermo".
Che cosa legava Fellini a Rota?"Bah... è come se mi chiedesse qual è il segreto per fare una buona polenta oppure qual è la cottura giusta della pasta, che se si sbaglia di un attimo... è un odore, il segreto è che andavamo incontro a un odore".
Come lavoravate?"Nella nostra vita non avevamo delle cose mostruose per inventare parole o immagini. Eravamo persone che stavano pensando a un piatto di spaghetti e alla mortadella!"
E l'amore?"
No! L'ultima frase Fellini la disse a Enzo Biagi negli suoi ultimi giorni: stava morendo e diceva 'innamorarsi ancora una volta!Nella vita quello che conta è diventare questa nuvola imprecisa e grandiosa che è il momento dell'amore".


Tonino Guerra 
risponde a qualche domanda
ricordi, tutto tratto da qui

QUALCHE DETTAGLIO PRATICO PER ANDARE AVANTI:   
Dove ho potuto ho citato la fonte. Fatelo anche voi, questo è un lavoro autoriale, protetto dalle leggi del copyright, nella Unione Europea, ed ospitato su Google. Le immagini non sono mai o quasi mai legate ai testi, per motivi di stile e per le stesse ragioni invece quando uscite dal sito dovete ritornarvi da voi: se trovate un link esterno rotto vi prego di avvisarmi. Se il brano è mio, raro, viene indicato anche nelle tag, come "la nana di fellini". Trovate qualcosa su Twitter, in inglese. L'archivio funziona come una mappa mentale, cercate da soli, attraverso la semantica poetica che trovate alla vostra destra.
Qui un marcetta "di Carlotta", composta pare, dal vero Maestro Rota. Ringrazio commossa. 








Una mente lisergica



Non so molto di Castaneda.  Ma ho in archivio alcuni suoi libri, frutto appunto degli studi di Federico Fellini.  Tanto gli interessava che penso' perfino di fare un viaggio oceanico, lui che non aveva mai lasciato ne' Rimini, ne' Roma ne' lo Studio 5 di Cinecitta'. Fellini decise infatti di girare un film su Carlos Castaneda,  tratto da A scuola dallo stregone, libro del 1968  di culto per gli hippies, i new age, gli artisti, i seeker spirituali ed i curatori magici, allora e forse anche oggi. Volò in America insieme al giovane Andrea De Carlo, di cui aveva ammirato il romanzo Treno di panna, caldeggiato da Italo Calvino, e per questa ragione molto letto anche a casa mia, in compagnia di una bionda astrologa americana, e di Vincenzo Mollica. Il viaggio fu pieno di presagi, messaggi, telefonate, appuntamenti mancati, e fatti stranissimi, che alla fine angosciarono Fellini


La pubblicazione della storia di questo ennesimo film che non venne mai realizzato (ma trovate in forma di libro), avvenne solo in forma di tentativo, di risarcimento, di testimonianza, in 6 puntate nel maggio dell'86, a fumetti, illustrato da Milo Manara e mai ristampato.
 Andrea De Carlo  che ne fece un libro romanzo alla fine, racconta la sua versione dei fatti, in un documentario realizzato da Eugenio Cappuccio e Vincenzo Mollica, per la Rai e qui in un'intervista: "Purtroppo quel viaggio ha finito per guastare la nostra preziosa amicizia. Siamo rimasti entrambi imprigionati dall'orgoglio, incapaci di sbloccare la situazione. Ho ancora il rammarico di non avere compiuto il primo passo per venirne fuori" racconta, con rimpianto. Infatti la storia che Fellini non ebbe il modo di realizzare non si sapeva di chi era, e il fatto che De Carlo, pare chiedendo perfino permesso, la scrisse, concluse il loro rapporto. 

Il brano in cui Fellini racconto' la sua esperienza lo trovate invece sotto altre sembianze qui: 
"... i concetti di volume, colore, prospettiva, sono un modo d'intendersi con la realtà, una serie di simboli per definirla, una mappa, ed era proprio questo rapporto intellettuale che veniva a mancare. 
Come quella volta che per far contenti dei medici amici che stavano studiando gli effetti dell'LSD, accettai di fare da cavia e bevvi un mezzo bicchiere d'acqua dove dentro era stata lasciata cadere un'infinitesima parte di un milligrammo di acido lisergico. Anche quella volta la realtà degli oggetti, dei colori, della luce, non aveva più alcun senso conosciuto. 
Le cose erano se stesse, sprofondate in una grande pace luminosa e terrificante. In momenti come quello le cose non ti pesano; non vai a bagnare tutto con la tua persona, come un'ameba. 
Le cose diventano innocenti perchè togli di mezzo te stesso; una verginale esperienza, come il primo uomo può avere visto vallate, praterie, il mare. Un mondo immacolato che palpita di luce e di colori viventi col ritmo del tuo respiro; tu diventi tutte le cose, non sei più separato da loro, sei tu quella nube vertiginosamente alta nel mezzo del cielo, e anche l'azzurro del cielo sei tu, e il rosso dei gerani sul davanzale della finestra, e le foglie, e la trama fibrillante del tessuto di una tenda. 
E quello sgabello davanti a te che cos'è? Non sai più dare un nome a quelle linee, a quella sostanza, a quel disegno, che vibra ondulando nell'aria, ma non ti importa, sei felice così. Huxley ha mirabilmente descritto questo stato di coscienza provocato dall'Lsd: la simbologia dei significati perde senso, gli oggetti sono confortanti per la loro gratuità, per la loro assenza-presenza; è la beatitudine. 
Ma improvvisamente essere tagliato fuori dal ricordo della mediazione concettuale ti fa sprofondare in un abisso d'angoscia insostenibile; di colpo quella che un attimo prima era l'estasi ora è l'inferno. Forme mostruose senza senso nè scopo. Quella nube schifosa, quell'atroce cielo azzurro, quella trama oscenamente respirante, quello sgabello che non sai che cos'è, ti strangolano in un orrore senza fine."



A seguire qui ripubblico invece un  breve resoconto affine forse alla vicenda messicana, e di esperimenti lisergici di Fellini, tratto dalla Repubblica dell'epoca:


"Era o non era il mago di Rimini? Era o non era il più grande visionario del cinema italiano? 
Può allora sorprendere che un Federico Fellini quarantenne acconsentisse ' a farsi impasticcare di Lsd' dall' amico scienziato in vena di alchimie cerebrali?  Le agenzie di stampa, ieri pomeriggio, ne hanno enfatizzato la notizia. 
Era l' epoca della beat generation, Jack Kerouac aveva appena pubblicato in America On the road e lo scrittore Timothy Leary andava intonando peana liberatori sull' acido lisergico. Volle provarlo anche Fellini, sotto controllo medico. Parlò per sette ore di seguito e camminò su e giù per la stanza senza fermarsi mai. Emozioni, poche. Delusione, tanta. E non poteva essere altrimenti. 
Una pasticca d' acido per Fellini è come un caffé doppio per un ansiogeno. Perchè, dunque, dare tanto risalto all' evento, quando ne aveva già scritto lui stesso nel volume autobiografico Fare un film (Einaudi)? 
La risposta è in un libriccino dalla copertina gialla appena arrivato in libreria. S'intitola Imago. Appunti di un visionario (edizioni Semar), e porta la firma di Toni Maraini, scrittrice e storica d' arte (e sorella minore di Dacia). Il volumetto contiene una conversazione-intervista inedita con il regista. 
"Il contatto telefonico con Fellini non lo avrei mai avuto", racconta Toni Maraini, "se Alberto Moravia, con le sue maniere benevole e brusche, non avesse telefonato a Fellini per dirgli che mi conosceva da quando ero ragazzina, e che era sicuro che non lo avrei seccato con domande inutili". 
Era il marzo del 1990, una giornata fredda e ventosa. Bastò il nome di Krishnamurti per accendere la fantasia di Fellini. La magia, i poteri paranormali, le atmosfere sovrannaturali l' avevano sempre attratto. La sua affabulazione copriva argomenti di registro vario, elevandosi dal mago Rol, prodigioso fenomeno di parapsicologia, a Carl Gustav Jung, la sua stella polare, il maestro che più gli aveva insegnato "a recuperare tante energie sepolte sotto le macerie di timori, inconsapevolezze, ferite trascurate". 
La sintesi perfetta tra razionalità e fantasia, scienza e magia. Fellini tracimava lieve attraverso ricordi, sogni e profezie, e la Maraini registrava. 
Finché un giorno il regista le raccontò dell' amico scienziato che l' aveva persuaso, dopo aver girato Otto e mezzo, a sperimentare l' Lsd. Poi se ne pentì. La chiamò al telefono, e le chiese di cancellare la registrazione. 
Perché tanto pudore, tanta riservatezza?. "Temeva di non essere compreso", risponde oggi Toni Maraini. "Fellini era abitato da un' acuta, nostalgica, malinconica, scherzosa e sensuale curiosità per gli esseri e le cose. La tentazione dell' Lsd rientra in questo quadro. Ma in fondo non era stata un' esperienza significativa. Fellini aveva conservato pochi e incerti ricordi. In un certo senso, si trattò d' una rimozione, tant' è vero che non volle mai ascoltare la registrazione di quel che mi disse quel pomeriggio". 




Il disegnatore Milo Manara, che con Fellini ha collaborato in più lavori, suggerisce una diversa chiave: 
"Federico era rimasto deluso. L' allucinogeno non gli aveva certo dischiuso panorami nuovi e insospettabili. Il suo bagaglio immaginativo era tale che una pasticca d' acido poteva far poco. Una volta, scherzando, mi confessò che la sua vita emotiva ordinaria era assai più intensa". 
Per Manara si trattò di una storia grottesca: "L' iniziativa partì da un' équipe medica che voleva sondare le potenzialità espressive dell' acido in una mente immaginifica come quella di Fellini. Una sperimentazione che oggi può sembrare comica, ma allora era giustificata dai miti della beat generation"
Alla figura di Manara è legato l' altro episodio "rimosso" della vita di Fellini: Viaggio a Tulum, il misteriosissimo film ispirato dai racconti del leggendario ' antropologo stregone' Carlos Castaneda e mai realizzato (Viaggio a Tulum diventerà un fumetto firmato da Manara).  "Fellini", racconta Toni Maraini, "volle censurare tutti i dettagli bizzarri del viaggio da Los Angeles a Tulum, in Messico, dove era andato per girare il film tratto da Castaneda. 
Mi disse che c' erano troppi misteri: eventi inquietanti e minacciosi più che seducenti e meravigliosi. Fellini amava il meraviglioso e s' interessava di fatti paranormali, ma non di magia nera, ed era infastidito dai tenebrosi risvolti di tutta quella storia: biglietti che apparivano dal nulla, telefonate misteriose, parole sussurrate, apparizioni inattese di Castaneda il quale, alla fine, scomparirà nel nulla!". 
Disse una volta Fellini: "Quanto più l' enigma è indecifrabile, tanto più c'è l' obbligo di suggerire una spiegazione". 
Allora forse non ne fu capace, e il film non lo fece.



Oltre alla intervista della collega Simonetta Fiori, per La Repubblica, 1994, e della collega Marain, in questo post ho accumulato altre cose. Su Tulum e il non-incontro con Castaneda trovate un folle e personale documentario, "Fine Mai" di Vincenzo Mollica ed Eugenio Cappuccio, del 2019, molto bizzarro e sgangherato, dove questa vicenda viene per accenni ripresa. QUI il trailer.  
Accanto il fumetto di Manara. 
 

Tutte le altre immagini sono prese dal film Giulietta degli Spiriti in cui proprio i colori, e le scenografie trasmettono questo senso di materica magia del colore, e trasformano gli oggetti ed infondo hanno qualcosa di lisergico. Ne parla Fellini a lungo, e trovate cercando (colore, Giulietta, surreale, angoscia, Fellini non ama viaggiare, per esempio) nella colonna di parole-chiave di questo archivio, che serve a fare libere associazioni, come foste dentro una mappa mentale. Scrivete un messaggio o condividete il post. I link sono esterni, invece, le fonti citate, rispettatele, le foto spesso della curatrice. Grazie. 



Fulminava calabroni, e vabbeh

«Ed eccoli al parco del Valentino, Rol e Fellini, in un pomeriggio sonnolento. Contrariamente al solito, Rol è malinconico, parla poco, insegue certi suoi sconosciuti pensieri. Si siedono in silenzio su una panchina. 


Più in là, seduta a un’altra panchina, una nurse dormicchia con dinanzi la carrozzella del bambino. Sopra la carrozzella si mette a girare un grosso 
calabrone.


 “Guarda là” dice Fellini “bisogna andare a cacciare via quella bestiaccia”. 
“No, non occorre” risponde Rol, e tende la mano destra in direzione dell’insetto. Uno schiocco di dita, e il calabrone cade a piombo, fulminato secco. 
“Ah, mi dispiace”, deplora l’uomo misterioso e affascinante. 
“Mi dispiace. Questo non dovevo fartelo vedere!”».




Il resto qui.




(da Buzzati, D., "Fellini per il nuovo film ha fatto incontri paurosi",  Corriere della Sera, 06/08/1965, p. 3. Sarebbe bello trovare queste registrazioni, che tanto sono incuriosita che troverete questo brano in altri punti dell'archivio, mi scuso per le ripetizioni). 
Proteggete la conoscenza. L'archivio che state usando funziona come una mappa mentale, partendo dai vostri interessi o anche a caso, dalla destra del vostro schermo, conoscete voi stessi. Le immagini solitamente non hanno legami coi testi, per scelta. 

Quello spettacolone



Sospetto che tutto sia una enorme messa inscena, uno spettacolo ...

















Pensierino tratto da una chiacchierata colla collega L. Tornabuoni, Il mondo che non c'e', da La Stampa, 1989, riferendosi all'ispirazione de La Voce della Luna ma il tema torna molte volte nelle sue interviste. Proteggete la conoscenza, condividete questo post, i pulsanti sono in basso; altrimenti e se lascerete un messaggio farete sapere che anche voi siete passati da qui. L'archivio funziona come una mappa mentale, conoscete voi stessi, cercando nella colonna alla destra dello schermo. Mentre le immagini ed i testi per ragioni anche di stile non sono legate in alcun modo. 





Uno strano pellegrinaggio

Roma, agosto 1965






 
Federico Fellini è attualmente in Italia la persona più carica di misteri. Per il suo nuovo film, Giulietta degli spiriti, Fellini ha girato penisola e isole per oltre due mesi visitando i più strani o addirittura inverosimili personaggi, maghi, indovini, streghe, invasati, medium, astrologi, operatori metapsichici, depositari di occulte potestà, ne ha fatto una scorpacciata, ne è rimasto saturo.


Non è che volesse utilizzare questi tipi per il suo film. Giulietta degli spiriti non è un documentario di prodigi tradotti in chiave fantastica. È una favola inventata di sana pianta nella vicenda, nei personaggi e nell'ambiente. Di tutti i maghi interpellati, compare in carne ed ossa soltanto Genius (pronuncia "ginius" all'inglese) lo sconcertante e pittoresco indovino di Roma che per il modo di vestire e di atteggiarsi ricorda il sarto Schubert. Il pellegrinaggio è servito a Fellini soltanto come preparazione psicologica indiretta. Il contatto con quelle creature in certo modo dava impulso alla carica magica che già Fellini aveva dentro di sé, così come in certi scrittori la musica serve a promuovere le idee. E a giudicare dai risultati il sistema è stato ottimo. In Giulietta degli spiriti, che Fellini mi ha fatto vedere, il clima di sortilegio, di inquietudine, di attesa, non viene mai meno, con una varietà abbacinante di motivi e fantasmagorie. Fellini però ne parla con cautela, cercando di minimizzare la sua impresa. Va da sé che il regista ha una grande fiducia in sé, altrimenti non oserebbe mai tentare film come questo. Ma poi, quando ne discorre, entra in gioco il suo istintivo understatement. La classe, anche come uomo, è rivelata subito da questa disarmante quanto spontanea semplicità. Un altro autorevole esempio a conferma che il talento e il darsi importanza non possono andare d'accordo.
Ora, fra tanti personaggi dell'Italia magica - gli chiedo - chi gli ha fatto più impressione? La maggioranza, anche se si trattava di fenomeni notevoli, non aveva niente di eccezionale. I soliti tavolini semoventi, le solite decifrazioni chiromantiche, le solite letture delle carte, le solite interpretazioni degli astri, le solite operazioni taumaturgiche; con risultati spesso curiosi o addirittura impressionanti. Nulla però che si staccasse dal classico repertorio.
Molti di questi maghi, o sedicenti maghi, pareva avessero smarrito ogni personalità, come se fossero posseduti da un potere estraneo a loro; risultavano quindi alquanto stolidi, o assolutamente infantili, o inesistenti come creature umane. Agivano come automi, non tentando neppure una interpretazione di ciò che facevano.
Comunque, Fellini mi cita Pasqualina Pezzolla, di Porto Civitanova, che riesce a "vedere" l'interno del corpo umano quasi i visceri fossero completamente scoperchiati ed esposti alla luce. Ed è quindi in grado di fare delle diagnosi di una precisione tremenda. "Sembra un Macario vestito da donna" racconta Fellini. "È una ex-contadina, priva di studi ma dotata di un notevole orecchio; a espressioni rozze e popolaresche mescola una terminologia medica d'accatto che coi clienti le conferisce un certo tono. Per farsi visitare vengono anche da lontanissimo, intorno alla sua casa c'è sempre una folla che aspetta, bivaccano perfino nella strada per non perdere il turno. Come fa a visitare i malati? Pasqualina siede, fissando il cliente, con respinti sempre più affannosi e contratti. Cade insomma in una specie di lieve trance. La si vede trasformarsi, e dalla sua faccia sembra uscire un altro volto più aguzzo. Intanto tiene una mano a visiera sopra gli occhi, come per ripararsi dalla luce. Poi si alza in piedi. Biascica e parlotta tra sé forse delle formule magiche. Si risiede. Ha due tre violenti scossoni. Sorride. È pronta. Comincia a parlare: vedo lo stomaco un po' spostato in basso, vedo tre calcoli uno grosso e due piccoli nel sacchetto della bile... Tale e quale che se invece degli sguardi avesse i raggi X."



Mi parla a lungo anche di "zio Nardu", un bizzarro vecchio che diventava cavallo. Abitava in una povera bicocca fuori Nuoro. Fellini ci andò accompagnato da un pretino in fama di buon esorcista. Arrivati alla casa di zio Nardu, dovettero aspettare due ore perché lui non voleva aprire. Alla fine si spalancò la porta e zio Nardu apparve, un vecchietto di settant'anni, all'apparenza niente di straordinario. Come vide il prete, si fece il segno della croce. Salutò in tono piuttosto servile. Subito il pretino lo redarguì severamente: "Ti vuoi convertire finalmente? la devi smettere di trasformarti in bestia! Altrimenti finirai all'inferno..." E lui diceva di sì, era pentito, prometteva di non farlo più, lacrime gli colavano dagli occhi. A questo punto intervenne Fellini; il pretino, continuando così, gli avrebbe rovinato tutto quanto. "Sì, zio Nardu, tu devi convertirti" disse il regista. "Sono venuto apposta da Roma per parlare con te. Ma, per dimostrarti la sua benevolenza, la Chiesa ti dà il permesso di diventare bestia ancora una volta." A quelle parole zio Nardu si rianimò, fece una grande risata, poi si mise a parlare velocemente, non si capiva una parola, sembrava recitasse una filastrocca di nomi messi insieme senza nesso


All'improvviso cominciò a nitrire, non a emettere suoni, simili a nitriti, ma a nitrire veramente come un cavallo. Ben presto avvenne una metamorfosi mostruosa. La faccia divenne un muso, il muso si allungò a vista d'occhio assumendo fattezze equine; gli occhi si ingrandirono, divennero interamente neri e lucidissimi, appunto come gli occhi dei cavalli, le orecchie si spostarono in alto, così da sporgere dalla sommità del capo. Perfino il corpo, sembrò a Fellini, acquistava un certo che di cavallino. Allora, sempre cacciando altissimi nitriti di gioia, l'uomo-cavallo cominciò a scalciare furiosamente. E il pretino a recitare le formule sacre dell'esorcismo. Fino a che l'altro si quietò e nel giro di pochi secondi riacquistò sembianze umane.
Al termine dell'inusitata scena, Fellini si trattenne a discorrere con zio Nardu. "Spiegami un po'" gli chiese: "perché ti piace fare il cavallo?". "Ma il cavallo è il più buono, è il più onesto degli uomini" rispose il vecchio con entusiasmo. "Non c'è niente di più bello di un cavallo. Sì, sì, io sono un cavallo." Zio Nardu è morto recentemente, del tutto felice perché nella suprema agonia aveva avuto una delle sue crisi, tramutandosi in destriero. E i suoi ultimi rantoli furono nitriti. Un matto, insomma, ma fuori della norma dei matti. Del resto, mi ha fatto notare Fellini, la pazzia in certi casi è "materializzante" cioè l'uomo finisce per assomigliare alla persona o alla cosa in cui si illude di essere trasformato. Così c'è il pazzo che può assomigliare a Napoleone, il pazzo che assume le forme di un uccello e così via.

"Ma il personaggio di gran lunga più interessante" racconta Fellini "che sta a sé, completamente fuori di questa galleria di fenomeni più o meno patologici, il personaggio portentoso è il dottor Gustavo Rol, di Torino. Anche lei certo ne ha già sentito parlare. Non si tratta di un "mago" più dotato degli altri. È un signore civilissimo, colto, spiritualmente raffinato, che ha fatto l'università, dipinge, si è dedicato per anni all'antiquariato. Ma dispone di tali poteri che non si capisce come non sia famoso in tutto il mondo. Chissà, forse non è ancora venuto il suo momento."Quello che Rol sa fare è pauroso. Chi assiste prova la sensazione di un uomo che sprofonda in un abisso marino senza scafandro. È la testimonianza fascinosa e provocatoria di una trascendenza. Se non si resta terrorizzati è soltanto per il suo modo gioviale e scherzoso un po' da Fra Ginepro, per l'atmosfera salutare che si sprigiona da lui. Del resto egli stesso, prima degli sperimenti, cerca, con opportuni avvertimenti, di creare un limite alla meraviglia, altrimenti si potrebbe rimanerne schiantati."



Del prodigioso mondo in cui vive Gustavo Rol, Fellini mi ha parlato a lungo, senza un dubbio, senza una riserva. Ecco quattro episodi esemplari. Erano seduti, Fellini e Rol, in una sala dell'albergo Principe di Piemonte, a Torino. Accanto a loro un tavolino con sopra un grosso calamaio d'argento. "Adesso provo un esperimento" disse Rol. "Guarda però che non mi riesce sempre. Vedi quel calamaio? Ti prego tienilo d'occhio." Fellini fissò il calamaio. Subito ebbe la sensazione che "qualcosa succedesse dentro di lui, qualcosa di obliquo, come un malessere lucido". 
A un tratto, mentre continuava a fissare il calamaio gli "viene a fuoco" il piano del tavolino, con eccezionale evidenza, ma senza più il calamaio. Sotto i suoi occhi il calamaio era sparito. E Rol non si era mosso dalla poltrona, non aveva mosso le mani.

" Il calamaio era sparito" spiega Fellini. "Si trattava però come di un'eco. L'operazione, come dire?, era avvenuta su di un altro piano, io ne percepivo soltanto una rifrazione." Rol era sudatissimo, quasi uscisse da un lungo e spossante sforzo. Ma scherzava: "Adesso mi arresteranno come ladro. Adesso come facciamo? Riuscirò a far tornare il calamaio? Quel signore laggiù ci sta guardando. Lo conosci tu quel signore laggiù in fondo?". Fellini si voltò a guardare. Non c'era nessun signore. Riportò gli sguardi al tavolino. Il calamaio era tornato."Come può fare cose simili? Da quello che ho vagamente intuito, Rol deve compiere una serie di operazioni mentali in cui crea un certo ordine che si traduce in realtà fisica. Chissà, si direbbe che conosca la famosa legge di Einstein per cui la materia può trasformarsi in energia e viceversa; solo che lui la realizza sul piano mentale." Un altro prodigio avvenne in un ristorante, pure a Torino. Avevano finito di pranzare, era già stato pagato il conto. "Andiamo?" propose Fellini. "Andiamo pure" rispose Rol. Fellini fece per avviarsi all'uscita ma si accorse che Rol stava seduto. "Non ti alzi?" gli chiese. "Ma io sono già alzato" fece Rol. "Io sono in piedi." Fellini guardò meglio: Rol era alzato, infatti, ma aveva la statura di un nano. Il dottor Gustavo Rol, che sfiora il metro e ottanta, non era più alto di un bambino di dieci anni. Qualcosa di folle, di allucinante: come Alice nel paese delle meraviglie. "Su, andiamo, andiamo" fece Rol a Fellini annichilito. Ma a Fellini mancò di nuovo il fiato; senza che egli avesse potuto percepire il mutamento, Rol di colpo si era trasformato in un gigante, stava accanto a lui come un cipresso, lo sovrastava di almeno una spanna. Ed eccoli al parco del Valentino, Rol e Fellini, in un pomeriggio sonnolento. Contrariamente al solito, Rol è malinconico, parla poco, insegue certi suoi sconosciuti pensieri. Si siedono in silenzio su una panchina. Più in là, seduta a un'altra panchina, una nurse dormicchia con dinanzi la carrozzella del bambino. Sopra la carrozzella si mette a girare un grosso calabrone. "Guarda là" dice Fellini "bisogna andare a cacciare via quella bestiaccia" "No, non occorre" risponde Rol, e tende la mano destra in direzione dell'insetto. Uno schiocco di dita, e il calabrone cade a piombo, fulminato secco. "Ah, mi dispiace" deplora l'uomo misterioso e affascinante. "Mi dispiace. Questo non dovevo fartelo vedere!"




Quarto caso. Per avere disobbedito, Fellini stette male, per due giorni non riuscì né a mangiare né a dormire. "Mi fa scegliere una carta da un mazzo. Era, mi ricordo, il sei di fiori. Prendila in mano, mi dice, tienila stretta sul tuo petto e non guardarla; ora, in che carta vuoi che la trasformi? Io scelgo a caso. Nel dieci di cuori, gli dico. Mi raccomando, ripete lui, tienila bene stretta e non guardarla. Lo vedo concentrarsi, fissare con intensità spasmodica la mia mano che tiene la carta. Intanto io penso: perché mai non devo guardare? Sì, me lo ha proibito, ma il tono non era troppo severo. Che me lo abbia detto apposta per indurmi a trasgredire? Insomma, non resisto alla tentazione. Stacco un po' la carta dal petto e guardo. E allora ho visto... ho visto una cosa orrenda che le parole non possono dire... la materia che si disgregava, una poltiglia grigiastra e acquosa che si decomponeva palpitando, un amalgama ributtante in cui i segni neri dei fiori si disfacevano e venivano delle venature rosse... A questo punto ho sentito una mano che mi prendeva lo stomaco e me lo rovesciava come un guanto. Una inesprimibile nausea... E poi mi sono trovato nella mano il dieci di cuori."

Per ultimo ho chiesto a Fellini: "Di tutte queste esperienze, di tutte queste stregonerie, c'è stata qualche ripercussione nella realizzazione del film?"

"È difficile rispondere" dice Fellini. "Certo, mi sono trovato di fronte a una quantità di imprevedibili e strane opposizioni, quasi che una forza oscura mi volesse scoraggiare. Cose vaghe, però, forse soltanto mie assurde sensazioni... E poi, a motivo di questo film, alcune amicizie si sono guastate, perdute, distrutte. Si intende, amicizie apparenti, di superficie... Contro la vera amicizia non credo che la magia possa fare molto."



I misteri d'Italia, Oscar Mondadori, 1978, Milanodi Dino Buzzatti, amico, scrittore, fu lui a fargli conoscere il medium Gustavo Rol, personaggio mitologico, torinese, alto borghese,  schivo eppur noto, tanto da essere perfino convocato durante il sequestro Moro, personaggio nella storia d'Italia.

QUALCHE DETTAGLIO PRATICO:   
Su Twitter, Pinterest e Facebook sono aperte delle finestre, anche in inglese anche,  di questo progetto, per proteggere la conoscenza, le fonti, le idee, e fare diplomazia culturale: cercatele, se vi serve, se usate questo lavoro citatelo. 

Qui un marcetta "di Carlotta", composta pare, dal vero Maestro Rota.


Verde e qualcosa

Fellini, Rotunno, a Rimini 

Fellini cercava di apprendere i segreti di Rol. Gli chiedeva sempre “la formula”. 
Finché Rol gli disse: “È semplicissimo: il colore verde, la quinta musicale e il calore”». 
“Il cinema mi ha risucchiato, ma io 
volevo fare il mago” diceva. Mah. 

Il resto di questo racconto, tratto dal Corriere della Sera del 2012, e' qui.  Condividete la conoscenza, proteggete il lavoro delle donne e dei poeti: se lascerete un messaggio infondo al post altri sapranno che siete passati anche voi qui. Grazie. 








Laboratorio Number Five





«Il ricordo è già una alterazione della realtà, una visione mediata di ciò che è veramente accaduto. Raccontare episodi, personaggi, incontri, avvenimenti, passioni filtrati dalla memoria significa esprimere qualcosa che, per essere 
in qualche modo fedele alle emozioni e ai sentimenti che ha suscitato, deve necessariamente essere arricchita di suoni, luci, colori, atmosfere, suggestioni, che possono essere ricreati soltanto in quel laboratorio magico, alchemico, demiurgico che per un cineasta è il teatro di posa. Nel Teatro n. 5 di Cinecittà io ho ricreato tutto»


«La luce è ideologia, sentimento, colore, tono, profondità, atmosfera, racconto. 
La luce fa miracoli, aggiunge, cancella, riduce, arricchisce, sfuma, sottolinea, allude, fa diventare credibile e accettabile il fantastico, il sogno e, al contrario, può suggerire trasparenze, vibrazioni, dà miraggio alla realtà più grigia, quotidiana […] il film si scrive con la luce, lo stile si esprime con la luce».






 Infondo al post trovate un piccolo spazio bianco da riempire con un pensiero, un'emozione, se vorrete, e anche tutti gli artifici per condividere la conoscenza, e  in qualche modo essere gentili e proteggere questo lavoro. Grazie. 

Le mine negli occhi



"Il telespettatore e' lo stesso pubblico del cinema, sono compagni di viaggio, gli amici che si vanno a prendere a l'aeroporto. Continuo a sostenere, e ho detto, che la televisione ha inflazionato l'autorità', il prestigio, del cinema. Bombardati come siamo da questa piccola macchina che e' alla casa, miliardi di immagini su tutto, ci priva anche la possibilità' di sognare, e questo ha degradato l'immagine, facendola diventare qualcosa di banale, che ha perso l'autorità' suggestiva dell'immagine, e questo ci ha portato a rinunciare al cinema, a dimenticarlo". 


Il resto qui.




Questo archivio funziona come una mappa mentale, per associazioni libere, cercate da soli: le immagini solitamente non sono legate ai testi, mentre sempre i link esterni restano esterni, per rispetto della cultura digitale, che questo piccolo spazio testimonia; poi lasciate una traccia del vostro passaggio qui, se volete. 













La bacchetta magica che non vedi ma credi


«La sincronicita' Federico la vedeva ovunque.

La usava, per esempio, per scegliere gli attori. 
Trovò così Freddie Jones, per E la nave va.
 Il set era pronto e ancora non c’era il protagonista: Orlando. 
Restava da vedere solo un attore inglese. 


Jones arriva, Federico gli fa tre provini, lo boccia. 
Il produttore, Franco Cristaldi, era disperato. 
Però, Federico, dispiaciuto, 
si offre di accompagnare l’attore in aeroporto.
 In auto, Jones si appisola e Fellini quasi 
parlando tra sé e sé dice, 
guardandolo: “Chi sei tu? Come ti chiami?”. 

In quel momento, passano 
davanti a un manifesto e 
vede una scritta enorme: 
Orlando. Chi sei? 
Come ti chiami? Orlando. 
Mancava poco che ordinasse 
inversione a U sul raccordo anulare».


Filippo Ascione ricorda l'amicizia e le capacita' mediatiche di Fellini, 

 in questa intervista al Corriere della Sera, nel 2012, che trovate qui. A lui lascia la bacchetta magica ...  la sincronicita' a cui si fa riferimento e' quella di Jung e di altri sapienti antichi e meditatori.

Questo a
rchivio funziona come una mappa mentale, per associazioni libere, cercate da soli: le immagini solitamente non sono legate ai testi, mentre sempre i link esterni restano esterni, per rispetto della cultura digitale, che questo piccolo spazio testimonia; poi lasciate una traccia del vostro passaggio qui, se volete. 




Vedere i suoni, sentire i colori


 

«C’è stato un periodo della mia infanzia - spiega in un’intervista - in cui all’improvviso visualizzavo il corrispondente cromatico dei suoni. Un bue muggiva nella stalla della mia nonna, e io vedevo un enorme tappetone bruno-rossastro che fluttuava a mezz’aria davanti a me. Si avvicinava, si stringeva, diventava una striscia sottile che andava ad infilarsi nel mio orecchio destro. Tre rintocchi del campanile? Ecco tre dischi d’argento staccarsi lassù all’interno della campana e raggiungere fibrillanti le mie sopracciglia sparendo all’interno della testa. Potrei continuare un’oretta buona, basta credermi». 




QUALCHE DETTAGLIO PRATICO:   
Vedrete che ho trascurato quasi interamente pettegolezzi, e letture agiografiche e tutta quella narrativa marketing o delle fazioni della battaglia politica, a meno che non potesse essere utile a fare un ritratto dell'epoca, inoltre ho dato molto spazio alle cose minori, silenziose, come ad esempio Nino Rota, senza la cui presenza l'arte di Fellini non sarebbe universalmente nota e riconoscibile, per il suo suono,  come e'. 
Dove ho potuto ho citato la fonte. Le immagini non sono mai o quasi mai legate ai testi, per motivi di stile e per le stesse ragioni invece quando uscite dal sito dovete ritornarvi da voi. Qualche volta i brani sono in in lingua originale, soprattuto documenti e recensioni, e lo indico sempre. Le pochissime cose oltre a questa che ho scritto io medesima, e non sono pensieri di Fellini, o di interesse sulla sua storia nella storia culturale del paese o sulla sua poetica, di solito di altri artisti o suo cari amici, viene indicato anche nelle tag, come "la nana di fellini". 
Su Twitter, Pinterest e Facebook nel tempo, per motivi diversi, ho creato delle piccole vetrine, in inglese anche,  di questo progetto, che spero possa scuotere soprattutto il mondo della cultura e delle arti, e ispirarci. Siate gentili. 


Qui un marcetta "di Carlotta", composta pare, dal vero Maestro Rota.