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Fratellone





La sorella di Federico Fellini, e di Riccardo (che fece un film bello, ed ebbe la vita difficile con un cognome difficile), racconta dei genitori severi, a cui si deve timore e rispetto, e la solita Rimini, ed una Roma del 1945 e uno squillo che non arriva ... 

Qui.



 In basso c'e' uno spazio per lasciare un messaggio, e farci sapere di essere passati di qui, e per condividere questo post con altri. 
























Quel padre nostro


«Mio padre era sempre in viaggio e noi lo vedevamo raramente, sia io che mio fratello. Mi ricordo la mamma in queste lunghe attese, sempre affaccendata in cucina o a chiacchierare con delle piccole, giovanissime donne di servizio che per la maggior parte venivano dalla campagna: non erano neanche delle donne di servizio, erano delle nostre compagne di giochi». 




dall'intervista inedita a André Delvaux, 
trascritta dalla rivista di studi felliniani Amarcord, realizzata dalla ex Fondazione di Rimini. 
Tra le parole e le immagini non ci sono legami in questo archivio, se non forse fantasiosi, e per scelta, come accade tra le parole e le cose. Funziona come una mappa mentale, appoggiandovi alle suggestioni contenute nella colonna alla destra del vostro schermo, cercando voi stessi. Lasciate un messaggio per farci sapere che siete passati da qui anche voi.

L'angelo ed il bambino



“Quando dico: ‘il clown’, penso all’augusto. Le due figure sono, infatti, il clown bianco e l’augusto. Il primo è l’eleganza, la grazia, l’armonia, l’intelligenza, la lucidità, che si propongono moralisticamente come le situazioni ideali, le uniche, le divinità indiscutibili. Ecco quindi che appare subito l’aspetto negativo della faccenda: perché il clown bianco, in questo modo diventa la Mamma, il Papà, il Maestro, l’Artista, il Bello, insomma ‘quello che si deve fare’. 
Allora l’augusto, che subirebbe il fascino di queste perfezioni se non fossero ostentate con tanto rigore, si rivolta. Egli vede che le ‘paillettes’ sono splendenti; però la spocchia con cui esse si propongono le rende irraggiungibili. 

L’augusto, che è il bambino che  si caca sotto, si ribella a una simile perfezione;  si ubriaca,  si rotola per terra e anima,  perciò, una contestazione perpetua.Questa è, dunque, la lotta tra il culto superbo della ragione (che giunge a un estetismo proposto con prepotenza) e l’istinto, la libertà dell’istinto. Il clown bianco e l’augusto sono la maestra e il bambino, la madre e il figlio monello; si potrebbe dire, infine: l’angelo con la spada fiammeggiante e il peccatore”. 




[...] E’ un augusto che voleva essere un clown bianco. Meglio: è un Monsieur Loyal, il direttore del circo, che cerca di conciliare le due tendenze sopra un terreno obiettivo, imparziale. Picasso? Un trionfale augusto, spavaldo, senza complessi, sa fare tutto: alla fine è lui che la vince col clown bianco. Einstein: un augusto sognante, incantato, non parla mai, ma all’ultimo momento candidamente tira fuori dalla saccoccia la risoluzione dell’inghippo proposto dal furbo clown bianco. Visconti un clown bianco di grande autorità. Hitler: un clown bianco. Mussolini: un augusto. Freud è un bianco, Jung un augusto ....


Come aveva ammesso lui stesso nelle confessioni autobiografiche del libro Fare un film (Einaudi 1974), “il lavoro è, per me, un fatto di vita completo. Non riesco a compierlo in maniera distaccata, professionale. […] Il mio schema selettivo mi porta ad essere, […] l’anti-giornalista, l’anti-testimone”. 


E infatti “il cinema, voglio dire fare del cinema, vivere con una troupe che sta realizzando un film, non è come la vita del circo”?
La risposta è nella scena finale del film: il funerale del clown si trasforma tutto ad un tratto in altro. (i cavalli sono finti, il morto è finto, finta la disperazione).


Federico Fellini, Fare un film, Einaudi, Torino, 1980, p. 117. Ritratto di Giulietta, bambini al mare dal film Giulietta degli Spiriti. 
Proteggete la conoscenza, condividete questo post con chi amate, oppure lasciate infondo alla paginetta un messaggio per far sapere che siete transitati da qui. L'archivio funziona come una mappa, navigate dentro voi stessi. La relazione tra testo e immagine qui nei post non esiste, fa da unico stile il caso. 




Un pesce di nome Mamma



"Il delfino esce dall'acqua", e mi chiama: Mamma.

Questa e' una sola delle incredibili che dice Bicerin, nella scena del Rex, nel film Amarcord. Un'altra, tipo: ma dove vanno tutti col cuore in subbuglio?. La scena nella quale tutti corrono verso il Rex, di corsa, e lui commenta, non viene notata per la meraviglia di questo buffo elfo col cappello.


Qui invece gente che fa lo Storyfi di Rimini.  Tra le parole e le immagini non ci sono legami in questo archivio, se non fantasiosi e questo per scelta: come tra le parole e quasi sempre le cose. Funziona esattamente come una mappa mentale, per nuotare liberamente dentro il vostro mondo, come nel suo, appoggiandovi alle suggestioni contenute nella colonna alla destra del vostro schermo; assaporando un post alla volta, come fossero ciliegie. Lasciate un messaggio, per condividere quelle per voi saporite e farci sapere che siete passati da qui anche voi: grazie. 




L'Italia cartapesta



"L'Italiano: l'approssimazione, l'indifferenziato, i luoghi comuni,
 il convenzionale, la facciata, la persona, l'atteggiamento ...
Gli italiani non vogliono diventare adulti. 
Puo' darsi che sia un dato di tutta la civiltà mediterranea, 
questo tipico atteggiamento da mammone. 
Di qui l'onnipotenza della  famiglia, e la mancanza di fiducia in se stessi".  






Un brano da Casanova Rendez-vous, Bompiani, pagina 140, e da
 Fellini al contro-attacco, da Il Tempo, 1985.  Questo archivio digitale funziona come una mappa mentale, appoggiandovi come dalla destra dello schermo. Condividete questo post oppure, forse meglio se lascerete un segno del vostro passaggio nei commenti, arricchirete questo lavoro. Le immagini quasi mai sono legate ai testi, per scelta. Ogni volta che trovate la parola "QUI" andate su un sito esterno, per un audio o un video, o qualche volta un iper-testo. 


Col suo pancione



Col suo pancione placentario e il suo aspetto materno evita la nevrosi ma impedisce anche uno sviluppo, una vera maturazione. È una città di bambini svogliati, scettici e maleducati: anche un po' deformi, psichicamente, giacché impedire la crescita è innaturale. 

Anche per questo a Roma c'è un tale attaccamento alla famiglia. Io non ho mai visto una città al mondo dove si parli tanto dei parenti. "Te presento mi' cognato. Ecco Lallo, er fjo de mi' cugino". È una catena: si vive fra persone ben circoscritte e ben conoscibili, per un comune dato biologico. Vivono come nidiate, come covate... E Roma resta la madre ideale, la madre che non ti obbliga a comportarti bene. Anche la frase molto comune: "Ma chi sei? Nun sei nessuno!" è confortante. Perché non c'è solo disprezzo, ma anche una carica liberatoria. Non sei nessuno, quindi puoi anche essere tutto. Tutto può ancora essere fatto. Si può partire da zero. 

Insultata come nessun'altra città, Roma non reagisce. Il romano dice: "Mica è mia, Roma". 

Questa cancellazione della realtà che fa il romano, quando dice "ma che te ne frega!", nasce forse dal fatto che ha da temere qualcosa o dal papa o dalla gendarmeria o dai nobili. Egli si rinchiude in cerchio gastrosessuale. (p. 145). 



Qui il defile' censurato, allora, del film Roma, creati da quell'altro collaboratore geniale, dimenticato ed offeso, che fu Danilo Donati. 
Nella foto una citazione di Pasolini, su Fellini e Roma, interpretata da Orson Welles, un altro tipo di perseguitato politico nel mondo dell'arte cinematografica. Il brano viene tratto da Fare un Film, Einaudi, e tratterebbe di una specie di genius loci, ma oggi nemmeno questo sembra vivere. 
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