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Proviamo a salvarci noi












Ma non sono neanche Maestro. Mi chiami Fellini o, se preferisce, Federico [...] Io penso che ci sarà in futuro un cinema catacombale, frequentato da pochi fedeli che si faranno fra loro segni di riconoscimento [...] Ma la tv non ha bisogno di essere salvata! Esiste, ed è la conquista più straordinaria di questo secolo. Si potrebbe tentare di renderla più educatrice. Ma ci vorrebbe la sicurezza di un' ideologia, o la saggezza di una grande esperienza. E chi potrebbe farlo? Ci sarebbero i maestri? Proviamo a salvarci noi, ritroviamo un po' di silenzio, riprendiamo il colloquio con noi stessi. Cerchiamo di ricostruirci un' esistenza non più minacciata dalla stupidità e dalla prepotenza e che invece cerchi il miracolo, il prodigio. Anche la tv allora potrebbe fare moltissimo [...]  Brandelli tratti dalla conferenza stampa di Ginger e Fred, riportata da Alberto Arbasino, per la Repubblica, febbraio 1986



Stanotte che hai sognato?





Scombiccherato collage di interviste a Dante Ferretti, scenografo maceratese, in gloria con la moglie negli Stati Uniti, uno degli ultimi, per generazione tra i collaboratori, con Danilo Donati, di  Federico Fellini, in uno dei ruoli piu' significativi nel suo staff, quello, anche controverso, nascosto, di scenografo. Insomma il solo a dire qualcosa, oltre a Fellini, sulle immagini ed i colori. Non poco. 



Dico spesso che Pasolini è stato il mio mentore, Fellini il mio mentitore. A Federico piacevano le bugie, si inventava storie, era un gioco per lui e tentavo in tutti i modi di imitarlo. Mi chiedeva sempre cosa sognavo la notte e io, che non ricordo mai niente al risveglio, mi inventavo delle storie. Sapeva benissimo che erano bugie ma si divertiva, c’era una grande complicità. Forse perché sono nato nelle Marche e quella provincialità ritratta nei suoi film l’ho vissuta, certe cose, nonostante i 30 anni di differenza d’età, riuscivo a capirle bene. E’ stato un lavoro straordinario ma sempre divertente e allegro.

Io sono nato a Macerata e in una città così piccola l’unica cosa bella è che c’erano quattro cinema e altre quattro sale delle parrocchie. Il primo film che ho visto, a 6 anni, fu I ragazzi della via Paal, nella sacrestia di una chiesa vicino a casa mia. Da quel momento il cinema divenne una fissazione, volevo sempre andarci. Al pomeriggio, finita la scuola, dicevo a mio padre che andavo a studiare in casa di amici. In realtà gli rubavo … diciamo che mi appropriavo dei soldi che teneva in tasca e correvo a vedere i film. Se mi piacevano, li guardavo anche due volte o tre consecutive, oppure mi infilavo in una sala al primo spettacolo e in un’altra al secondo. Io studiavo all’istituto d’arte e un giorno decisi che volevo fare il cinema. Mio padre rimase sbigottito e mi chiese con un risolino se volevo diventare attore, però a me piacevano le costruzioni e le scene, anche se non sapevo neppure come si chiamasse questo lavoro. Ricordo che un giorno uno scultore abbastanza famoso di Macerata, Umberto Peschi, mi spiegò che dovevo diventare scenografo. Pensai: ecco quello che voglio fare da grande. Dopo l’Accademia delle Belle Arti, ho avuto l’incredibile fortuna di diventare l’aiuto scenografo di Luigi Schiaccianoce che mi presentò molti registi. Mentre lavoravo a Medea, di Pier Paolo Pasolini, incontrai Fellini a Cinecittà. Ricordo come se fosse ieri il suo modo di pronunciare il mio nome. ‘Dantino, vorrei che tu lavorassi per me insieme a Danilo Donati. Lui si occuperà dei costumi, tu delle scenografie’. Risposi che non ci pensavo proprio, perché le cose che andavano bene sarebbero state un merito suo, quelle sbagliate, colpa mia. ‘Dici di no ad un Fellini? - mi disse, giocando. Gli risposi di richiamarmi dopo dieci anni, quando sarei stato pronto per fare un film con lui.  
Sì, stavo girando con Elio Petri Todo modo e ci siamo incrociati sotto un lampione a Cinecittà. Quella volta, stranamente, era solo e mi disse: "Dantino, ciao, sono passati 10 anni e bisogna che lavori con me". 
Dopo qualche mese partimmo con La città delle donneProva d’orchestra e poi altri quattro film fino a La voce della luna.  L’ultimo film da aiuto scenografo è stato Satyricon di Federico Fellini, nel 1969. Da La prova d’orchestra fino a La voce della luna, ho fatto tutti i suoi film. Ho perso solo L’intervista perché ero sul set di Le avventure del barone di Munchausen. Un grande, il mio maestro e il mio mentore. Non c’è molto da aggiungere, anzi ci sarebbe troppo: lui, Pasolini e Martin Scorsese sono i tre che mi hanno dato di più. 
Con Pasolini ho girato otto film. Le sue inquadrature cominciano sempre con un grandangolo. Era come un Chaplin pittore: per Il Vangelo secondo Matteo, Mantegna; per I racconti di Canterbury, la pittura inglese e francese e Paolo Uccello; per Le mille e una notte, i miniaturisti arabi e persiani. Non amava gli interni, non gli piaceva lavorare in teatro. Ricostruivo fuori e facevo molti interventi per riportare l’ambiente all’epoca scelta. Girava con una raffinatissima semplicità, eliminando tutti gli orpelli.


La gioia della rivelazione


“La lettura di qualche libro di Jung, la scoperta della sua visione della vita, ha avuto per me un carattere di una gioiosa rivelazione, una entusiasmante, inattesa, straordinaria conferma di qualcosa che mi sembrava di avere in piccola parte immaginato. 

[...] Jung è un compagno di viaggio, un fratello più grande, un saggio, uno scienziato, veggente [...]. 




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La via dell'acqua

È acqua. Quando voglio qualcosa di assolutamente puro, qualcosa di sincero, chiedo sempre l'acqua. C'è tanto bisogno di cose semplici per vivere, di cose che non ne nascondono altre. L'acqua è come uno sguardo che non nasconde nulla. Non abbia paura della verità, la verità ci rende liberi. In fondo, che importa la reazione degli altri? Al mio paese un proverbio dice: “Io sono a me stesso tetto, finestra e focolare; le mie parole sono il mio cibo, i miei pensieri, la mia bevanda: dunque sono felice”.



Un brano tratto dal poco considerato“Giulietta degli spiriti”, un di film Federico Fellini audace da ogni punto di vista, sulla condizione della donna, la prigione del matrimonio ed il ruolo della fantasia e dei fantasmi. In basso c'e' uno spazio per lasciare un messaggio, e farci sapere di essere passati di qui, e per condividere questo post con altri. 



Il mattatoio mi da' pace


Chi e' felice non lo sa.
Non c'e' consapevolezza di uno stato come la felicita'.

Appena realizzi che sei felice gia' non lo sei piu' {...} Il successo e' necessario per continuare, per mantenere la fiducia. Il lavoro ...  essendo il mio e' gia' metterci qualcosa di obbligato che invece non ha affatto {...}

Ho sempre avuto una tendenza a intrattenere gli altri. I clown ed il circo mi sono apparsi, come un'anticipazione, di come sarebbe stata poi la mia vita, tra la processione blasfema ed il mattatoio, l'apparizione di questi mostri dell'umano oltre che inquietarmi anche mi davano familiarità' {...}.




Gli scontenti



"Questo non è mica 

un guaio ... siamo rimasti così in pochi 
ad essere scontenti 
di noi stessi!"




Riga, pensierino, tratto dal copione del premio Oscar La Dolce Vita. 



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Il dramma felice di creare





Ho pensato che 8 1/2 fosse liberatorio per me, su certi problemi dell'espressione. Ma non mi ha liberato per niente, per fortuna. La paura di non riuscire ad esprimersi, sono paure che esistono ancora. E che continuerò a raccontare in altri film. Il dramma felice che e' la creazione. 





La via piccola

"Un amico
mi rende
felice".





FF, ne L'Apra di Fellini, di padre Arpa.Edizioni dell'Oleandro.  Una piccola cosa da dire della vita, molto seria, tra le tante buffonate che disse e diciamo tutti. 
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I miracolosi legamenti


Sono stato in collegio a Fano come la maggior parte dei ragazzini della mia generazione, tra gli otto ed i quattordici anni diventava una stagione inevtabile: erano antichi sacerdoti, tenuto dai monaci che si chiamavano i carissimi, avevano quel collarino che misi poi ad Anita nella scena della Dolce Vita. 



Si metteva allora in collegio qualcuno che doveva essere educato, cambiato, e quindi gia' l'ingresso era qualcosa che ricordava un pochino il carcere; e l'educazione era l'educazione che moltissimi in Italia hanno avuto, una educazione castrante, mutilante, a carattere repressivo, dove il bambino era folle, pericoloso, qualcosa di malato, su cui intervenire pesantemente con codici, fatti educativi, terapeutici e mutilanti, quindi una diseducazione, adesso lo ho detto in tutti i miei film, di questi aspetti abberranti, di questo tipo di educazione che tentava di staccarti dalla vita e proiettava sulla vita tutta una serie di visioni deformanti, insomma una alterazione, che metteva il bambino fuori dalla vita. Cose che colla vita non avevano niente a che fare. 

Questo e' un tema ricorrente dei mie film, di questo tradimento fatto alla vita da questo tipo di educazione. Pero' con gli anni mi subentra una specie di visione diversa, non rinnego la polemica, voglio dire pero' che anche questo tipo di educazione mi ha nutrito all'incontrario, provocando delle forme reattive di difesa, ed ora non vorrei parere reazionari, ma anche i condizionamenti a modo loro sono stati utili, utili ovvio per chi puo' con la cultura o la vita stessa, di affrancarsi da questi condizionamenti e vederli da un punto di vista diverso, una operazione che non e' possibile per tutti quanti, ma io almeno ho ammorbidito  questo atteggiamento.

Ma penso comunque in tutta sincerita' di educare il bambino a guardare alla vita coi suoi occhi, e non con delle lenti che della vita danno una visione distorta, insomma bisognerebbe compiere un miracolo di formare dei maestri, ma chi li forma i maestri, che possano far sviluppare questo miracolo, che e' l'uomo bambino, senza tagliare e sopprimere i suoi legamenti misteriosi colla natura, con le dimensioni da cui viene, e proviene, farlo crescere radialmente, sfericamente, in tutte le direzioni. 
Invece sono state create persone nevrotiche, intere generazioni di gente che e' finita al cimitero o al manicomio, di gente deforme, gobbi, nani. 


8/5/77, Madrid. Intervista TV con J. Serrano
Il resto qui.

 



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Un uomo braccato

"La personalita' di Fellini e' un potente concentrato di fascino, intelligenza psicologica, istrionismo, vitalita', rafforzato dall'esercizio consapevole, attento, privo di dimissioni o cedimenti, della sua stessa personalita'. Bisogna seguire Fellini a lungo per notare diversioni e smagliature tra un modo di essere e l'esercizio cosciente e deliberato di esso, tanto sono armoniosamente fusi. L'ironia infaticabile, il gusto di stravolgere umoristicamente ogni situazione, la bonta', la simpatia prepotente, una gratitudine gioiosa verso gli altri, ma anche l'astuzia, la occasionale crudelta', insomma il peso straordinario di una umanita', come una ipoteca emessa sul mondo esterno. Egli era un tipo insofferente ad ogni categoria, una forza della natura, un fenomeno in tutti i sensi atmosferico. La sua solare solitudine, lo spazio che separa sempre Fellini dagli altri, non e' altro che l'equilibrio aggressivo e vulnerabile, di chi, strenuamente braccato dal reale, non puo' esimersi dall'essere totalmente, eccessivamente se stesso"





Un brano tratto dal libro curato da Giovanna Bentivoglio, per la Archinto editore, di Lilliana Betti, seconda assistente ed amica, sull'animona di Fellini e il suo carattere-accio. Nella foto il suo alter-ego in Amarcord. Nel disegno di Fellini il suo rapporto esplicitato con ironia, e ripetutamente in centinaia di disegni, con la Betti. Qui un articolo che ricorda una mostra della famiglia Betti, ad Adro, dopo la sua morte, con i disegni. 

Qui un insolito, raro, post di un critico, in lingua spagnola, che ne mette in rilievo il ruolo. 
Questo archivio funziona per libere associazioni. Condividete e proteggete la conoscenza. 



L'apparizione di una giraffa colla voce disperata

 
Quella faccia improbabile, una testa di creta caduta in terra dal trespolo e rimessa insieme frettolosamente prima che lo scultore rientri e se ne accorga; quel corpo disossato, di caucciù, da robot, da marziano, da giraffa, da incubo gioioso, da creatura di un'altra dimensione, quella voce fonda, lontana, disperata: tutto ciò rappresentava qualcosa di così inatteso, inaudito, imprevedibile, diverso, da contagiare repentinamente, oltre che un ammutolito stupore, una smemorante ribellione, un sentimento di libertà totale contro gli schemi, le regole, i tabù, contro tutto ciò che è legittimo, codificato dalla logica, lecito.




Brano tratto dal libro Fare un Film (p. 128, Einaudi editore) dedicato a Toto', ammirato fin da bambino, e con cui come con Chaplin forse ebbe questo rapporto fascinato ma a distanza. Considerato che uno, Fellini, internazionalmente parlando e' il cinema italiano, e certo lo era il secolo scorso, e l'altro, un genio non esportabile, la cosa fa pensare.