Avevamo inventato una serie di vignette, di situazioni tipiche: un soldato americano al Colosseo che uccideva un leone, oppure a Napoli su una barchetta che pescava una sirena, o mentre sorreggeva la torre di Pisa con una mano.
Ogni situazione veniva riprodotta in cinquanta, cento esemplari dove la testina veniva sempre lasciata in bianco. Le vignette erano raccolte tutte insieme in un grande album che veniva mostrato ai soldati (...). Una sera il locale era molto affollato, c'era sempre un'atmosfera da saloon, e all'impovviso in mezzo a tante divise dei soldati, ho visto uno in borghese, la faccia pallidina, un mentino aguzzo. Era Rosselini. Lo avevo conosciuto appena prima della guerra, all'Aci Film, una società di produzione di Mussolini: fece segno che mi voleva parlare. Si avvicinò lentamente, e si mise alle mie spalle. Io stavo ritraendo un soldato cinese. Mi chiese se volevo collaborare alla sceneggiatura sulla vita di Don Morosini. Io ero molto occupato colla bottega della faccia buffa, inoltre il cinema allora mi pareva una cosa remota, a noi italiani: ora che stavano ritornando i film di Gary Cooper e chissà quante Harlow (...).
Il film sulla vita, di Don Morosini era Roma città aperta. Sorpresa del neorealismo e risposta al western all'americana.
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