Si fidanzano subito; la zia viene conquistata all’istante con il dono di un cestino di fiori sotto il quale è nascosto un piccolo cocker meccanico; due paperelle invece per Giulietta, al primo invito in casa. In quei mesi la guerra precipita, cade il fascismo, arriva l’armistizio dell’otto settembre, Roma viene occupata dai nazisti. Fellini, essendo renitente alla leva, si rifugia sempre più spesso nell’appartamento della fidanzata, ed è in quelle settimane di paura – nei giorni lividi delle retate e delle bombe – che matura la decisione del matrimonio. Si sposano in casa, in via Lutezia 11: devono soltanto attraversare il pianerottolo e andare dal vicino, un anziano monsignore prelato di Santa Maria Maggiore, che ha la dispensa per celebrare messa fra le quattro mura domestiche.
Monsignor Cornagia, servito da due perpetue, ha un antiquato salotto foderato di damasco rosso bordeaux con piccoli gigli d’oro e un’angoliera che all’occasione si apre e si trasforma in un piccolo altare. Il giorno è il 30 ottobre del 1943. Rito semplicissimo, una dozzina di persone, i parenti più stretti e qualche amico; Geleng è testimone per lo sposo, Vittorio Caprioli per la sposa. Riccardo, il fratello di Federico, voce da tenore, canta l’Ave Maria di Schubert accompagnato da un armonium, come farà dieci anni più tardi replicando la medesima scena nei Vitelloni. Sono sposi di guerra, frugali e felici. Giulietta sogna il velo bianco ma indossa un semplice tailleur blu, però con un vezzoso cappello guarnito da due uccellini, Federico un doppiopetto grigio di tessuto sintetico, che pizzica e puzza.
Nell’aria c’è ancora odore di soffritto. Giulietta con la zia e la cameriera hanno passato la notte a cucinare: gli agnolotti, la carne al sugo, gli arrosti misti, la zuppa inglese, la crostata, una vera festa per i tempi che corrono, tutta roba comprata alla borsa nera, materie prime fornite da una contadina di Frosinone. Le partecipazioni le ha disegnate Fellini: una vignetta che farà ristampare cinquant’anni più tardi in vista delle nozze d’oro. Si vedono i due sposi vestiti come loro non erano vestiti: lei in abito bianco tradizionale, lui in tight e cilindro, inginocchiati al centro di un cuore dove si incontrano due viottoli di campagna. Da una nuvola un angioletto spicca un salto verso una casa: è il loro bambino, il bambino che purtroppo vivrà solo pochi giorni.
Niente viaggio di nozze, neppure dentro Roma città aperta: tutto quello che si concedono gli sposi è, nel primo pomeriggio, il teatro di varietà, in Galleria. A presentare è un giovane attore di belle speranze, Alberto Sordi, che dal palcoscenico rende omaggio agli sposi indicandoli al pubblico: sono già abbastanza famosi per riscuotere un applauso. Il resto della luna di miele, una settimana, lo trascorrono tappati in casa.
Brano dalle Cronache, sabato 30 ottobre 1943: tratto da Laurenzi, Amori e furori, Rizzoli 2000. La foto e' tratta e trattata, dal film Satyricon. [...] data: sabato 30 ottobre 1943. Proteggete la conoscenza, lasciate infondo alla paginetta un messaggio per far sapere che siete transitati da qui. L'archivio funziona come una mappa, navigate dentro voi stessi. La relazione tra testo e immagine qui nei post non esiste, fa da unico stile il caso.
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