Gilberto Tura, Serravalle –
Repubblica di San Marino
Lettera ad un giornale locale
vocina, spesso infastidita nel dover rispondere a domande che probabilmente giudicava banali o che riteneva violassero la sua intimità artistica, nelle tante interviste che ha rilasciato. Il suo parlare e il suo linguaggio, poi, mai retorico, mai scontato, ben lungi dall’usare aggettivi, espressioni standardizzate, erano ricchissimi di sfumature, di spunti, suggestioni che mi trasmettevano un intenso piacere interiore. (…)
Per farle capire quale ruolo Fellini ha avuto nella mia “educazione esistenziale” le confesso che un giorno venni assalito da una strana forma di angoscia derivante dall’improvvisa consapevolezza (all’epoca avevo poco più di vent’anni) della caducità dell’esistenza umana secondo la quale anche Fellini (che all’epoca aveva passato i 60) un giorno, forse neppure tanto lontano, non sarebbe più stato un mio contemporaneo e il fatto di sapere che prima o poi non avrei potuto più condividere con lui lo stesso tempo mi ha fatto sentire come un futuro orfano.
La sua presenza mi dava sicurezza, mi garantiva che il mondo, lui vivente, sarebbe stato un po’ meno orrendo: lo avvertivo come una protezione da una società sempre più marcia e incomprensibile. Un punto di riferimento, una certezza su cui l’umanità poteva contare.
Poi la morte è sopraggiunta inesorabile e anche un po’ precoce e questo sentimento mi è ricomparso, e ai primi di novembre del 1993 sono andato a omaggiare la bara del maestro, assieme a molti romagnoli, nel foyer di quel che resta del teatro Galli di Rimini (conservo ancora un primo piano a colori del regista con il naso posticcio rosso e rotondo da clown che veniva distribuito ai presenti).
Di Fellini è stato autorevolmente detto e scritto moltissimo; non sono certo io la persona più adatta ad aggiungere un giudizio originale; ma ricordo una frase in risposta a un intervistatore che a mio parere non potrebbe meglio riassumere il senso della sua poetica: «Non è importante che la storia sia vera o verosimile, l’importante è che sia vera e autentica l’emozione rappresentata».
Poi la morte è sopraggiunta inesorabile e anche un po’ precoce e questo sentimento mi è ricomparso, e ai primi di novembre del 1993 sono andato a omaggiare la bara del maestro, assieme a molti romagnoli, nel foyer di quel che resta del teatro Galli di Rimini (conservo ancora un primo piano a colori del regista con il naso posticcio rosso e rotondo da clown che veniva distribuito ai presenti).
Di Fellini è stato autorevolmente detto e scritto moltissimo; non sono certo io la persona più adatta ad aggiungere un giudizio originale; ma ricordo una frase in risposta a un intervistatore che a mio parere non potrebbe meglio riassumere il senso della sua poetica: «Non è importante che la storia sia vera o verosimile, l’importante è che sia vera e autentica l’emozione rappresentata».
La fama di bugiardo è del tutto inappropriata e irrilevante riferita a Fellini perché la sua opera è la testimonianza di una sincerità assoluta, struggente, in cui l’artista ha riversato interamente se stesso, con tutte le energie disponibili, fino al punto a volte da imbarazzare lo spettatore, senza mai dare l’impressione di risparmiarsi. Solo ai grandissimi artisti è concesso questo privilegio. Ecco, le affido una breve dichiarazione d’amore (forse un po’ sgangherata) da parte di un amante di cinema nei confronti di un genio che lei ha avuto il privilegio e la fortuna di frequentare e conoscere molto bene.
Questo archivio funziona come una mappa mentale, per associazioni libere, cercate da soli: le immagini solitamente non sono legate ai testi, mentre sempre i link esterni restano esterni, per rispetto della cultura digitale, che questo piccolo spazio testimonia; poi lasciate una traccia del vostro passaggio qui, se volete.
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