A Tabucchi La dolce vita appare un «grande affresco sull’Italia fra gli anni Cinquanta e Sessanta». Nel corso di una intervista Tabucchi lo definisce praticamente una sorta di giudizio universale privo di salvezza. Dove ogni classe sociale (e l'umano vacilla sotto la pressione delle classi e del sociale) è condannata: «in fondo - dice Tabucchi - l’Italia non ha mai avuto una borghesia intelligente, colta... Poi c’è la piccola borghesia, il padre di Marcello che arriva a Roma dalla provincia e vuol fare la notte di follie al tabarin: un disastro. Un personaggio toccante, patetico. E patetica è anche Yvonne Furneaux, la “moglie italiana” con le sue fissazioni, possessiva e disperata per quel voler accudire Marcello, preparargli i ravioli con la ricotta. Ecco poi i nobili, l’aristocrazia romana che si raduna per la festa nel castello di Sutri: una galleria di inetti o di puri deficienti. Ma c’è anche il popolino, il sottoproletariato, quello che spera nelle apparizioni della Madonna e si presta alle riprese della Tv. Il cerchio si chiude con gli intellettuali; c’è Marcello Rubini (Mastroianni), il giornalista che vuol diventare grande scrittore e intanto lavora per una rivista scandalistica: crede di avere importanti aspirazioni, e invece è solo patetico. Più in alto, molto più in alto c’è Steiner (Alain Cuny), una mente raffinata, nutrita di cultura filosofica e di letture scelte, suona Bach. Ha un salotto frequentato da scrittori e artisti, a cui fa ascoltare la registrazione dei suoni della natura. Ma ha anche una famiglia, due bimbi, la moglie sorridente: insomma, sembra un esempio perfetto di equilibrio e serenità. E invece è un fallito, e il suo suicidio cambia radicalmente il giudizio su tutto: quelle riunioni di intellettuali che parevano tanto scelti, tanto profondi, erano solo poveri ricevimenti di persone vuote e fatue.
Insomma, La dolce vita è il ritratto più terribile che un artista abbia prodotto sulla società italiana. Profeticamente, Fellini aveva già intuito dove saremmo andati a parare. Il modo con cui rappresenta i mezzi di comunicazione di massa è rivelatore. I fotografi scatenati e urlanti dietro le celebrità, i giornalisti che s’inventano stupidi scoop (Anita Ekberg vestita da prete che sale sulla cupola di San Pietro), gli scatti rubati della diva presa a schiaffi dal suo compagno, la spettacolarizzazione del niente. E la Tv? Anche peggio: la sequenza del finto miracolo sui pratacci dell’ultima periferia romana è atroce. Due bambini che dicono di aver visto la Madonna attirano la troupe della Rai, che vuole dare di tutto, di più. In mezzo a una falsa agitazione, tutti recitano: i piccoli veggenti, la folla pronta ad andare in estasi, lo zio orrendo dei ragazzini che intona le laudi, lo speaker della Tv. Poi, comincia a scendere la pioggia, di Madonne nemmeno l’ombra, e l’operatore cinicamente esclama: “Piove! Spegniamo tutto”. Un’Italia orrenda degli inizi degli anni Sessanta, Paese corrotto e decadente, terra in cui niente si salva né può essere salvato, società putrefatta come la Roma del Satyricon di Petronio […] Ci sono tutti i difetti italiani, quel viver bene alla giornata, il cinismo generale che accomuna sottoproletari, intellettuali, borghesi. Il velleitarismo del giornalista Marcello è desolante: il suo dialogo con Anita Ekberg, nella scena della fontana, è agghiacciante. “Sì, è vero, ho sbagliato tutto, hai ragione tu...” e va nell’acqua dietro alla bionda formosa e cretina che s’inebria nel primordiale, nell’arte, nella romanità di quel tuffo barocco di Trevi. E altrettanto tremendo è l’episodio del miracolo della Madonna. Speriamo tutti, anch’io, di vedere la Madonna, ma la Madonna di quelle borgate non ci promette la vita eterna, tutt’al più una vacanza a Fregene. Si lascia comprare con quattro soldi, costa due lire, non era l’apparizione felice, immortale, era una povera cosa di cartone»
Qui si trova traccia di Imago - L’IMMAGINARIO DI FEDERICO FELLINI, docu-film di Alessandro De Michele e Leopoldo Antinozzi con interviste inedite di Padre Angelo Arpa, lo psicanalista Mario Trevi amico di Fellini, lo sceneggiatore Tonino Guerra, lo scenografo Rinaldo Geleng; il segretario Enzo de Castro e Norma Giacchero, la segretaria di edizione, l’attrice Olimpia Carlisi, lo scrittore Gianfranco Angelucci, il poeta Andrea Zanzotto e il latinista Luca Canali.
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