
“Ma ecco che qualche cosa di misterioso, un’inconscia e invincibile suggestione, sembrò neutralizzare tutto quell’apparato di irriverente spettacolarità: la troupe, una troupe romana di cinema, ossia la miscela più inattaccabile di burbanza pretoriana e sonnolento scetticismo, che non si scompone per organica refrattarietà né davanti a miracoli né a catastrofi, al momento dell’apparizione del papa, concepita come una specie di immacolata, candida, sfavillante epifania, incorniciata dentro una grande trina di oro rilucente e contro una ruota sfolgorante che dietro la sua figura emanava bagliori di luce intensissima e raggiante, si fece via via sempre più silenziosa. Solo vocii smorzati, parole sussurrate, bisbigli. [...] La figura del papa, così ieratica e irraggiungibile, così sontuosamente e disumanamente regale, agiva con la forza occulta dell’archetipo, imponendoci anche nell’artificio una specie di ipnotica, incantata soggezione. La suggestione insomma era più forte della consapevolezza che eravamo stati noi a crearla, a trasmetterla, a suscitarla”.
Federico Fellini, Un regista a Cinecittà, Mondadori, Milano, 1988, pp.100-105
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